Come la moda ha ribaltato il tailoring
Dalla decostruzione del tailoring di Balenciaga alla reinterpretazione di Dior
24 Maggio 2022
Anche se lo streetwear ha inaugurato una wave di hoodie con stampe e loghi spalmati su qualsiasi superficie, la moda ha mantenuto una menzione d’onore per il tailoring e le sue diverse declinazioni. L’ultimo show Dior Men Resort 2023 si è aperto con un reversible suit di interpretazione sartoriale - sempre declinato sulle tonalità del grigio Dior ultimamente riscoperto da Kim Jones insieme alle tinte pastello - con monogram e cravatta ribaltata. Il reframing del tailoring è un qualcosa su cui il direttore creativo di Dior Men ha puntato l’occhio dal 2019, quando per la FW19 aveva già iniziato a trafugare l’archivio di Monsieur Dior. Archivio che, per DNA ed evoluzione cronologia, si è trovato a dover fare i conti con la lezione (accolta e poi messa in discussione) dello streetwear e del genderless.
Così come Demna da Balenciaga aveva iniziato - il debutto è stato sancito dalla SS17 - a divertirsi (nel senso etimologico del termine) mettendo in pratica una vera e propria deformazione del tailoring. C’erano le sneakers, quelle ugly che meriterebbero una menzione d’onore tra i 111 items curate dal MoMA di New York e l’estetica di un mondo prima da sovvertire e poi da ricostruire. Balenciaga e Vetements sono riuscite infatti, mediante una poi non poi così tanto velata demistificazione del fashion, a creare una sorta di uniforme distopica pensata per tutti i giorni. In tempi difficili la moda diventa audace e in quelli confusi i capi del guardaroba si capovolgono e si rovesciano, rivelando nuove dimensioni del design. E così la label MM6 Maison Margiela, per la sfilata FW 21, aveva portato in passerella un trench con la schiena a mantellina reversibile. Cosa che poi Margiela Paris ha riproposto nella collezione FW 21 in un reversible suit monopetto in techno-lana, indossabile con le maniche a contrasto all'esterno o come look block-colour. Al netto di una direzione creativa che sta dando i suoi frutti, anche Riccardo Tisci da Burberry è riuscito a mettere su un lavoro di decostruzione così efficace da trovare proprio nella reversibilità l’essenza di un abito: vestire.Dopo svariati lockdown e false promesse - c’era persino una lettera in cui si suggeriva di uscire dal quel vortice tossico fatto di collezioni su collezioni - il reversible suit potrebbe essere letto come la traduzione in tessuto di un modo di ripensare il corpo e l’abbigliamento che intercetta il design di un lifestyle improntato sulle pratiche di recupero più che su quelle creative in stretto senso. Vale a dire che il reversible suit è in grado sia di rendere omaggio all’heritage di un brand, sia di catturare le abitudini vestimentarie di un presente in continua definizione.
Quello del reversible suit è un fenomeno che non può essere ridotto soltanto all’abito formale a cui siamo abituati. Attingendo ora al mondo dell’activewear ora ai percorsi difficilmente prevedibili dello streetwear, l'abito reversibile si rivela come una forma di abbigliamento strategica che permette di alleggerire il classico design associato all’abito sartoriale, rendendolo appetibile anche per un target più giovane e meno legato ai formalismi poco comfy. Nel corso del tempo l'abbiamo visto applicato a un'enorme varietà di item, passado dai completi fino alle hoodie, passando dal semplice gusto estetico fino a uno più pratico. La proliferazione di trend - dal subversive basic al cottagecore fino al bloke core - su Tik Tok ha fatto sì che il fenomeno assumesse una tale portata da meritare un nome tutto suo, trendcore. Quella del reversible suit, invece, si qualifica piuttosto come un ripensamento dei codici estetici legati ai dettami della sartoria e del dress code. È il motivo per cui, molto probabilmente, il mondo del lusso tenderà ad investire proprio su ciò che è destinato a durare nel tempo corredandolo di un approccio contemporaneo.