Tutti i fake portano in Turchia
Alla scoperta del mercato di moda contraffatta più grande al mondo
18 Maggio 2022
Marc-Henri Ngandu
Se anche voi amate esplorare la colonna dei video correlati su YouTube, vi sarà capitato di imbattervi in uno di quei vlog dal Gran Bazaar di Istanbul in cui lo youtuber di turno si lancia in un viaggio in quello che è il terzo mercato di falsi più grande al mondo dopo Cina e Hong Kong. Cris4tay ad esempio, youtuber newyorchese con circa 6mila iscritti, è stato uno degli ultimi ad avventurarsi in quel mondo fatto di borse «non di pelle e nemmeno di plastica» in cui passaggi segreti rivelano enormi stanze ricolme di falsi di qualsiasi brand. «Le nostre vendite sono raddoppiate nel 2021, è un vero affare se compri in dollari o euro» aveva detto il proprietario di uno degli store di Istanbul al Guardian. La perdita di valore della lira turca e i problemi dell’economia locale sono stati due degli ingredienti principali del successo del mercato turco, diventato il luogo ideale per acquistare item da rivendere poi in altri paesi. Un giro d’affari milionario, come emerso qualche anno fa dall’operazione «Gran Bazar» in cui la Guardia di Finanza di Napoli aveva arrestato 53 persone, colpevoli di importare capi contraffatti provenienti dalla Turchia per poi rivenderli in boutique di Lombardia, Veneto, Toscana e Puglia. Storia simile quella che lo scorso anno ha portato al sequestro di 23mila capi falsi da parte della Guardia di Finanzia di Milano o che lo scorso marzo ha portato al fermo di un uomo colpevole di aver introdotto in Italia, partendo proprio dalla Turchia, dodici orologi falsi.
Secondo un report pubblicato lo scorso anno dall’EUIPO, l’ufficio dell'Unione Europea per la proprietà intellettuale, il valore dei beni contraffatti provenienti dalla Turchia è triplicato dal 2019 al 2020, arrivando a valere circa 134 milioni di euro, trasformando il mercato turco nel leader incontrastato del “fake fashion”. Un’ulteriore prova arriva anche dal sito dell’ADM, l’agenzia delle dogana italiana, in cui sono facilmente reperibili decine e decine di comunicati relativi ai sequestri di camion provenienti dalla Turchia con a bordo repliche di prodotti Nike, Burberry, Louis Vuitton, Gucci e qualsiasi altro brand vi possa venire in mente, senza dimenticare ovviamente le sneaker. Ma cosa succede quando i fake non vengon intercettati alla dogana? La risposta, che la cerchiate o meno, spesso arriva dai social, diventati ormai il luogo prediletto in cui vendere e comprare qualsiasi tipo di oggetto fake vi possa venire in mente. Lo scorso febbraio uno studio condotto da Ghost Data aveva evidenziato la crescita esponenziale di oggetti contraffatti venduti su Facebook e Instagram dove, da giugno a ottobre del 2021, erano stati attivi oltre 46mila account gestiti da contraffattori, incentivati da feature come i messaggi visibili una sola volta e le Instagram Stories. «Anche Vinted ha fatto molti danni, ti posso garantire che l’80% delle sneaker che ci sono lì sono fake» ci ha detto Francesco, in arte Dottorsneakers_, che della lotta ai fake ne ha fatta una crociata personale. «Il 50% di chi compra item contraffatti è inconsapevole, il restante sono persone che non ritengono sia giusto pagare 300€ per una scarpa. Anche perché adesso le repliche sono impressionanti, serve davvero un occhio attento per verificarne l’autenticità.»
Se in passato l’idea di falso vi faceva venire in mente nomi come “Fucci” o un paio di “addas” a due strisce, oggi il falso somiglia quasi all’originale, tanto da aver fatto nascere online scuole di pensiero per cui non c’è poi molta differenza tra un falso e un originale. Su Reddit ad esempio c’è RepSneakers, una community da oltre 600 mila utenti in cui ci si scambiano consigli su dove trovare i falsi migliori, mentre su Instagram sono decine le pagine che vendono repliche spacciate per nuove, spesso con la complicità di influencer e rapper. Se all’apparenza comprare item contraffatti potrebbe sembrare un dilemma puramente personale, farlo serve in realtà ad alimentare un enorme circolo che passa, ovviamente, anche per lo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo. Oltre l’impatto che il mercato dei falsi può avere sui brand coinvolti e sui loro dipendenti, nel 2016 solamente negli Stati Uniti 750mila persone hanno perso il lavoro a causa del fake market, dietro la produzione dei capi contraffatti ci sono condizioni di lavoro spesso disumane.
Un report pubblicato da Reuters nel 2016 ha rivelato l’impiego di bambini rifugiati siriani all’interno delle fabbriche turche, mentre lo stesso anno BBC Panorama ha parlato di uomini e bambini provenienti dalla Siria impiegati all’interno di fabbriche che producevano capi d’abbigliamento. Ma se la lotta al mercato dei falsi può sembrare persa in partenza, la responsabilità di provare a contrastarla ricade tanto sugli acquirenti quanto sui brand. Se chi compra è obbligato a farlo in modo responsabile, i brand dovrebbero agevolare l’acquisto rendendo i propri prodotti facilmente reperibili puntando soprattutto su una supply chain sostenibile e responsabile. Ma come in tutti i casi la soluzione è quella più semplice e mai come in questo caso è la domanda a creare l’offerta dando a chi compra la possibilità di fare una scelta in cui la posta in palio va ben oltre una semplice sneaker.