Anche acquistare second hand può voler dire inquinare
Abbiamo veramente bisogno di tutti quei Levi's vintage?
12 Maggio 2022
Pensare alla moda in chiave green, porre attenzione a come e quanto compriamo e alle politiche di sostenibilità dei brand che scegliamo di supportare, sono i cambiamenti che ogni persona coscienziosa ha apposto negli ultimi anni alle proprie abitudini d'acquisto. Eppure, se da un lato, grazie ai social, la sostenibilità è diventata una vera e propria wave, che coinvolge soprattutto la Gen Z, dall’altro, da quando acquistare abiti usati è un trend, si stanno riproponendo le stesse dinamiche tipiche del fast fashion: comprare tanto a prezzi bassi, spesso in modo compulsivo e senza una reale necessità. Haul, spacchettamenti, “get ready with me” e “fit check” non sono più prerogative della moda veloce ma veri e propri format social standardizzati, che oggi coinvolgono anche il second hand, tendendo ad omologare gusti personali e scelte di chi si approccia all’usato.
I prodotti che selezioniamo, insomma, cominciano a diventare sempre gli stessi, quelli che vediamo nei “thrift haul” su TikTok, dalle magliette striminzite #y2k fino alle camicie Ralph Lauren e ai Levi’s 501. Il passaggio del second hand da scelta di nicchia a moda mainstream ha ovviamente attirato l’attenzione delle grandi multinazionali del fashion verso un mondo che fino a quel momento era stato tutelato dalle speculazioni, favorendo un aumento dei prezzi e la diffusione di iniziative di greenwashing. Approcciarsi in modo etico alla moda usata, rispettando la natura e il proprio stile personale è sempre più difficile e molti consumatori, ritenendo l’acquisto di prodotti vintage e second hand una scelta intrinsecamente sostenibile, non sono consapevoli dell’impatto ambientale che anche l’usato porta con sé.
Da quando gli acquisti di second hand si sono spostati soprattutto online, sulle app di compravendita, l'impatto del trasporto su gomma, cioè l’inquinamento prodotto dai corrieri che ci spediscono i prodotti comodamente a casa, è diventato senza dubbio più impattante. È poi necessario fare attenzione alla “greenwashing circularity”, cioè all’idea che donando gli abiti che non usiamo più faremo del bene alle persone, all’ambiente e avremo anche più spazio nell’armadio per comprare altri vestiti. Questa dinamica in realtà è molto dannosa, come dimostra il Ghana, dove l’arrivo di circa 15 milioni di capi usati ogni settimana crea enormi problemi di inquinamento, visto che circa il 40% di questi abiti non possono essere usati per le cattive condizioni e la bassa qualità dei tessuti. Insomma, non è vero che nei paesi del cosiddetto terzo mondo mancano vestiti, anzi, sul Pianeta ce ne sono decisamente troppi, ma solo la creazione di finte catene di circolarità ci permettono di svuotare i nostri armadi strapieni e comprare ancora altri vestiti, nuovi o usati che siano.
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Alcuni semplici accorgimenti possono davvero fare la differenza: preferire i mercati cittadini invece degli acquisti online ci permette di inquinare molto meno. Se si deve comprare tramite app, meglio scegliere la spedizione ai punti di ritiro: in questo modo il corriere fa un unico viaggio con tutti i pacchi, diminuendo la CO2 prodotta. Evitare gli acquisti d’impulso, quelli a cui ci spingono i trend del momento, non solo aiuta l’ambiente ma anche il nostro portafoglio. Acquistare solo quando necessario ci permette, infatti, di scegliere pezzi che ci piacciono davvero, ragionando anche sull’utilizzo che ne faremo e sui look che creeremo. In questo modo si evitano spese inutili per capi che dimenticheremo velocemente nel fondo dell’armadio.
L’upcycling, cioè recuperare e modificare vecchi abiti per renderli cool, è un modo per riutilizzare vestiti che altrimenti butteremmo, e favorisce la creatività e lo stile personale. Per i più coraggiosi si può sperimentare anche con il crochet, il knitting o il ricamo, metodi diy per realizzare capi personalizzati. Inoltre, quando ci sono particolari eventi ed occasioni non è necessario acquistare ogni volta un abito nuovo, esistono comodi servizi di affitto oppure si può giocare con uno styling diverso. E perché non fare un’incursione nell’armadio dei genitori alla scoperta di qualche gemma del passato? Spesso, infine, tendiamo a fare shopping (sì, anche quello second hand e sostenibile) quando siamo arrabbiati, tristi o annoiati. Comprare qualcosa, soprattutto se tramite app e comodamente seduti sul divano, diventa una terapia per il nostro umore, ma gli oggetti non ci possono dare la serenità che cerchiamo, perciò ogni volta che sentiamo questa necessità meglio mettere giù il cellulare e coccolarsi in altro modo.