L'anti-moda secondo Nicolò Romano
Tra release limitatissime e stampe esplicite
28 Aprile 2022
In un’epoca in cui la produzione di massa è diventata una filosofia di vita, in cui il fast fashion ha trovato la sua giustificazione ideologica nel green washing e persino il thrifting viene praticato con ritmi selvaggi dalla Gen Z, c’è ancora chi acquista un capo su ordinazione, e no, non sto parlando di una birkin. Quello di Nicolò Romano è un brand che produce abbigliamento che aspira a diventare simbolo di sovversione, anche se forse ‘produrre’ non è il termine più adatto. Capi che ricordano l’estetica disfatta degli anni 90, pantaloni e giacche di pelle dall’aria vissuta che grazie all’uso di loghi vistosi e stampe sessualmente esplicite acquisiscono un’estetica forte e riconoscibile, ma soprattutto release limitatissime reperibili solo su ordinazione.
«La cosa che mi preoccupa di più dei miei vestiti é che non siano un acquisto poco ponderato o frutto di un trend. Mi piacerebbe che il cliente nel momento dell’acquisto possa comprare un prodotto al quale sia attaccato emotivamente, di alta qualità e che garantisca una longevità tale da poter essere ereditato dalle generazioni a seguire» - ci racconta Nicolò, giovane comense classe 2001. Dopo aver studiato moda prima alla St Martins e poi alla Parsons sembra rifiutare ogni aspetto patinato e commerciale dell’ambiente che a lungo ha frequentato, tramite un approccio alla progettazione e alla produzione che si colloca in uno spazio intermedio tra il desiderio di ridefinizione della funzione e del ruolo della moda, l’affermazione di un primitivismo contemporaneo e un personale edonismo. «Non ho mai pensato agli abiti come se fossero oggetti, ho sempre creduto che avessero in un certo qual senso un'anima propria. Mi piace indossare qualcosa che è stato soggetto allo scorrere del tempo, che abbia una storia da raccontare o che per lo meno racconti la mia. Per questo preferisco pelli, magliette o accessori già invecchiati da riproporre in chiave personale, non solo per una questione di sostenibilità. L’inserimento di stampe e loghi non è solo una sorta di satira alla logo mania di questi tempi, un anti-logo, ma anche un modo per allontanare le persone da un pantalone in pelle di qualità tramite un esagerato lettering del nome di uno sconosciuto sul retro. Mi figuro gli abiti in questo lontano futuro distopico, in cui la maggior parte delle risorse saranno esaurite, ma la consapevolezza dell’uomo medio avrà raggiunto un grado talmente elevato da ricercare qualcosa di realmente significativo nei propri acquisti.»
Quando gli ho chiesto perché la maggior parte dei suoi capi riportassero l’illustrazione di un pene stilizzato, chiedendogli se fossero in qualche modo un omaggio al lavoro di Vivienne Westwood e J.W Anderson, ha definito la sua scelta una provocazione: «può significare tutto e niente, sta allo spettatore decidere. Per quanto riguarda la spiritualità, che è un tema che fa parte integrante della mia ispirazione, simboleggia il più animale istinto dell’uomo oltre all’atto riproduttivo e al perpetrarsi della specie. Come ogni simbolo il fallo è permeato da significati multipli che possono cambiare a seconda del punto di vista, ma ha il pregio di suscitare una reazione, che sia lo sdegno o una risata». Quella di Nicolò Romano è una scelta di autenticità e una presa di posizione che va oltre l’abbigliamento, una sorta di storia esemplare traslata in un brand che non solo prende il nome dal suo founder ma che ingloba la sua persona in ogni cosa, dalla scelta dei materiali al prodotto finale, fino alla distribuzione. «Un ricordo, un'immagine, un’idea, ci si può vedere quello che si vuole, ma non sono solo abiti.»