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«Una battaglia di forma e funzione»: intervista a Julius Juul di Heliot Emil

Il designer danese ci guida alla scoperta dell’universo del suo brand

«Una battaglia di forma e funzione»: intervista a Julius Juul di Heliot Emil Il designer danese ci guida alla scoperta dell’universo del suo brand

Julius Juul, il direttore creativo di Heliot Emil, risponde alla videocall dal suo studio di Copehagen – è vestito di nero, ha una catena d’argento intorno al collo, e, dietro di lui, c’è un moodboard di look e bozzetti su una lavagna bianca. «Vogliamo spingere l’innovazione oltre i suoi stessi limiti», racconta con la voce quietamente entusiasta del pensatore che spieghi in modo profondo e semplice una sua intuizione.  «Ogni volta che ci mettiamo al lavoro su una collezione, abbiamo l’idea di esplorare l’idea di innovazione». La risposta arriva a proposito di una domanda, quella di apertura dell’intervista, che riguarda l’uso della tecnologia nella collezione SS22 di Heliot Emil presentata a Parigi durante l’ultima fashion week. Tra i molti elementi della collezione c’erano tessuti anti-radiazione, stivali e abiti stampati in 3D e soprattutto accessori anti-tracking che bloccano i segnali GPS. 

Il motivo stesso dell’intervista, oltre alla passione che chi scrive nutre per il brand sin dal suo debutto a Milano nel 2016, sta proprio in questo tipo di iperboli tecnologiche che, nella moda, si vedono poco. «La nostra aspirazione è quella di mettere in mostra la cultura dei nostri giorni, riflettere che costa sta succedendo nel mondo e provare a fornire una prospettiva più interessante», spiega Julius. «L’idea del GPS-blocking ci è venuta riflettendo sulla maniera in cui, nel nostro mondo, la tecnologia è costantemente integrata nelle nostre vite. […] Abbiamo sempre i cellulari addosso, sono un’estensione del nostro corpo – fino al punto in cui la cosa diventa un problema. […] Come alcuni brand parlano di body positivity o fluidità, noi volevamo aprire una discussione sulla salute mentale». L’idea è intrigante: invece che pubblicare un messaggio scritto o cadere nella performatività, la risposta di Juul e del suo brand è stata quella di creare un accessorio di moda capace di affrontare direttamente il problema, fornendo indirettamente un punto di vista molto preciso. C’è ironia, c'è uno statement, ma c’è anche arguzia – c’è, soprattutto, una soluzione pratica a un problema quotidiano: questo è il design.

Innovazione senza retorica – è così che potremmo definire l’aspetto più tecnico dell’universo di Heliot Emil (di un universo si tratta: il brand, tra l’altro, sta per lanciare la sua prima linea di arredamento) che di fronte a un problema del mondo preferisce rispondere con una good practice. Parlando del GPS Blocking e del suo legame con la questione della salute mentale Julius ha detto: «Non volevamo offrire soluzioni ma aprire la conversazione a riguardo». Altro esempio di questo approccio intellettuale è il rapporto del brand con la sostenibilità – promossa attraverso uno studio delle tecniche di stampa 3D: «Con la stampa 3D tutto è riutilizzabile, si può prendere lo stesso pezzo e modellarlo in una nuova forma – non ci sono nemmeno scarti, di tessuto o altro. Quando si stampa in 3D non c'è materiale in eccesso, si stampa solo il pezzo che serve. Immagina nel futuro un negozio dove possono stampare in 3D l'abito nella vostra taglia sul posto - non c'è sovrapproduzione, o taglie troppo specifiche, ma anche nessuno spreco», spiega Julius, poco dopo avermi raccontato come, oltre ad avere stampato in 3D gli stivali presentati durante la collezione, il brand abbia creato un abito con la stessa tecnica: «Ogni pezzo di stoffa è stampato in una serie di forme diagonali che sono sovrapposte in strati una sull’altra – in questa maniera il materiale diventa elastico e ci si può muovere agevolmente senza che la silhouette cada in maniera piatta». 

Il motivo di questa spinta verso la costante innovazione sta certamente nell’attitudine mentale di Julius. «Mi interessa mostrare al pubblico ciò che c’è là fuori», ha detto, «questo è ciò che possiamo fare ma quali sono i prossimi passi?» È chiaro che questo tipo di approccio, al di là del gusto personale, passa anche da un ragionamento sulla funzionalità degli abiti: chiunque conosca il brand o ne abbia visto anche una singola collezione sa che la fusione di elementi funzionali e silhouette affilate, stratificate ne definisce l’intera estetica. «La chiamiamo “eleganza industriale”», spiega Julius. Un approccio che ha l’eleganza per fine ma il tecnicismo come mezzo, attraverso tutti quei dettagli industriali mutuati dalla funzionalità degli abiti di ambiti che vanno dalla pesca, dall’agricoltura, dalla caccia, dalla navigazione.

«Guardo a quei dettagli e sono tutti fatti per ragioni di funzionalità», prosegue Julius, «e mi piace integrarli nella moda, dove spesso la funzione è solo pura forma. La battaglia tra forma e funzione è il tipo di esplorazione che vogliamo intraprendere». Una battaglia che si gioca su tutto il terreno della moda, tra artigianato invisibile e spettacolo visibile, tra craftmanship e showmanship. Lo scopo di tutto ciò, ovviamente, e arrivare a definire sempre meglio un’identità che è in espansione – non a caso Julius usa spesso il termine “universo” per parlare del proprio lavoro: «Credo che sia necessario creare un universo in cui tutto si allinea. Di un prodotto posso stancarmi, ma non di un universo. Quindi credo nei concept forti: le persone non comprano ciò che fai ma il perché lo fai».

A questo punto sorge spontanea la domanda su quale fosse il concept dello show SS22 a Parigi, considerato anche l’ossimoro del suo titolo: come fa un’uniforme a essere “solitaria”? L’ispirazione del titolo è venuta dai minatori di calcare in Marocco, catturati in alcune foto nel mezzo del loro lavoro – i loro abiti sono diversi tra loro, eppure la conformità dei colori e dell’usura dei tessuti, la patina di polvere che li ricopre, identifica tutti quegli uomini come membri dello stesso gruppo – dunque, un’uniforme. «Avere un'uniforme significa essere parte di un gruppo o di un'entità. Ma diventa “solitaria” quando si è un individuo che è in uniforme - è un paradosso, è contraddittorio, come possiamo creare una collezione coesa dove ogni pezzo è unico? Abbiamo esplorato diverse uniformi attraverso il tempo, il loro linguaggio - ma abbiamo anche esplorato come fare in modo che ogni indumento parli in modo unico. Che cosa succede se si può modificare l'indumento da soli?» Da questa domanda è partito un intero ragionamento che, sulla passerella, si è tradotto in una serie di capi modulari e dinamici che tramite un sistema di bottoni e cinghie possono essere indossati in molte maniere diverse o, nelle parole di Julius: «Fanno parte di un’uniforme, ma sono “solitari” perché puoi indossarli come vuoi». Ancora un altro un occhiolino verso quel futuro dell’industria che Julius vuole trasformare in presente collezione dopo collezione.

Sembra una strada complicata: riflettere l’immagine del mondo ma attraverso lo specchio della propria identità – o, nel caso di Julius, di suo fratello e del suo intero team di design, del proprio universo. Per affrontare questa strada con coerenza, però, basta mettere semplicemente un piede avanti all’altro. «Si tratta solo di procedere a piccoli passi mantenendo una certa identità, un linguaggio e la propria concentrazione», spiega Julius quando gli domando come si faccia a mantenere così tanta coerenza collezione dopo collezione, impiegando per altro una palette di colori iper-limitata al nero, al bianco e alla texture del metallo. Julius spiega il suo amore per il minimalismo dei colori così: «Il concept funziona meglio senza gli elementi visivi superflui. Quando disegno, silhouette e abito devono essere una cosa sola e tutto funziona meglio se è in nero – è il colore più semplice». Ancora una volta torna in ballo l’importanza assoluta del concept, la sua capacità di unificare tutti i diversi aspetti dell’universo di Heliot Emil nella stessa, stratificata armonia: la silhouette non è composta da abiti, è l’abito; accessori come cinghie e bottoni sono tanto decorativi quanto strutturali; i materiali non evocano l’idea della performance ma la mettono in pratica direttamente; gli abiti stessi non fanno immaginare il futuro ma vogliono essere il futuro.