Perché il knitwear sta per diventare la nuova ossessione della moda
Per il prossimo inverno, investite nei maglioni
16 Marzo 2022
Durante l’assai chiacchierato show di Miu Miu, che ha portato una nuova linea di abiti genderless all’interno del vocabolario del brand, alcune tra le sleeper hits sulla passerella sono stati dei capi normalmente ordinari e invisibili: maglioni a losanghe con uno scollo a V, croptop che mescolavano erotismo ed estetica college, una giacca di lana tricot portata sopra una camicia azzurra. Lo stesso giorno, Chanel dedicava un’intera sfilata al tweed, ricoprendo di maglia le sedie, gli inviti, la passerella e, ovviamente, anche i look della collezione. Appena qualche giorno prima, Rick Owens apriva il suo show con una modella vestita da un imponente cappotto-sarcofago di lana dalle forme quasi architettoniche mentre, allo show di The Row il knitwear ha avuto un ruolo di assoluto protagonismo. Maglioni e lana hanno avuto i loro highlight anche negli show di Kenzo e Dior Homme, oltre che brevi ma centrali apparizioni da Prada e Gucci. Sempre a Milano, poi, quello che è forse il più prestigioso brand di knitwear al mondo, Brunello Cucinelli, ha presentato «la soffice matericità di tessuti e maglie con effetti bouclé, garzati o fleece» trasformando il cachemire da “semplice” maglia a malleabile materia per simulare l’effetto delle pellicce, per foderare le scarpe, per creare mantelli, maglioni ricamati e cappotti. E se questi dati si sommano all’aumento di vendite del 45% di capi knitwear registrato in America e nel Regno Unito, si potrebbe prevedere che proprio la categoria dei prodotti in lana potrebbe essere la next big thing dell’industria del lusso.
Durante il lockdown e in generale nell’itero periodo successivo in cui stiamo vivendo adesso, è aumentata l’insistenza da parte dei brand e della stampa, indipendente o meno, sull’idea dell’investment piece – ossia di quegli item su cui si "investe" più denaro del solito ma che durano nel tempo perchè intramontabili e dunque finiscono con il ripagarsi da sè. I capi in lana, storicamente, sono tra i più durevoli, funzionali e preziosi di questi investment pieces: cappotti, maglioni e completi in lana sono secondi soltanto alle borse e al footwear in termini di pricing all’interno dell’industria della moda – un prezzo che ha a che fare tanto con il pregio dei materiali quanto con l’alta specializzazione a cui è giunta la disciplina del knitwear design. «I designer di maglieria devono essere estremamente tecnici, nel senso che non solo devono essere in grado di disegnare - non si tratta solo di forme - ma anche essere in grado di lavorare con i filati e fare i campioni», ha spiegato a BoF Valentina Maggi, direttrice di design practice per lo studio di consulenza Floriane de Saint Pierre & Associés. Un ruolo abbastanza complesso considerato che, al di là del fattore creativo vero e proprio, il knitwear design richiede una conoscenza dei macchinari e delle lavorazioni che permetta al team di design di comunicare con i produttori delle fabbriche e dei lanifici ma anche la capacità di comprendere la struttura dei filati per creare e tingere tessuti di lana ad hoc. Le potenzialità della lana, dopo tutto, sono quasi infinite.
E non è un caso se durante lo scorso anno alcuni brand hanno rafforzato il loro controllo della supply chain di lana acquistando azioni dei produttori italiani: i gruppi a cui fanno capo Prada e Zegna hanno acquisito insieme la storica Filati Biagioli lo scorso giugno, a cui si aggiunge l’acquisizione del 60% delle azioni di Tessitura Ubertino da parte di Zegna nello stesso mese, mentre più di recente Brunello Cucinelli ha acquisito il 43% di Lanificio Cariaggi Cashmere. Gli indizi che fanno pensare a una prossima, prepotente resurgence del settore della maglieria sono rafforzati anche dalla rinnovata attenzione alla sostenibilità. La lana infatti è uno dei materiali più sostenibili che ci siano, biodegradabile e durevole, oltre che privo di microplastiche e facilmente tracciabile, e dunque la categoria della maglieria si presta più di qualunque altra a strategie di marketing e comunicazione che vogliano dare enfasi alla sostenibilità dei prodotti – senza nemmeno parlare della nuova categoria dell’eco-cachemire rigenerato o delle potenzialità che ha il knitwear di lusso sul mercato secondhand.
Da un punto di vista commerciale, poi, basta pensare all’incredibile successo ottenuto dai capi in mohair di Marni negli ultimi due anni per capire come il knitwear design possa creare una delle categorie più vendibili e vendute per un brand di lusso. Pur conservando la sua aura di brand intellettuale e di nicchia, infatti, Marni è riuscito a fare diventare i suoi maglioni in mohair un’icona negli ultimi anni, lanciando e cavalcando insieme il nuovo trend delle texture “pelose” che ora è stata seguita dal caldissimo brand emergente ERL ma anche da Aimè Leon Dore, Stussy, Needles e Beams Plus solo per citarne alcuni.
Considerati tutti questi fattori, verrebbe da domandarsi se un maglione diventerà il nuovo statement piece delle prossime stagioni invernali – anche se forse si potrebbe rispondere dicendo che la maglieria non ha bisogno di tornare perché non se n’è mai veramente andata, anzi.