L’inarrestabile corsa delle Gazelle di adidas Originals
Dalle Olimpiadi di Monaco alle passerelle di Gucci e Coperni
14 Marzo 2022
Il matrimonio di sportswear e luxury è qualcosa a cui siamo abituati nel 2022, eppure è stato difficile contenere la sorpresa e l’entusiasmo del pubblico di fronte all’apparizione delle adidas Gazelle sulla passerella di Gucci lo scorso mese. Una sorpresa e un entusiasmo che sono ulteriormente cresciuti quando una serie di adidas Gazelle vintage sono apparse allo show di Coperni, uno dei brand indipendenti più apprezzati della Paris Fashion Week, e anche di Wales Bonner che ha rinnovato la sua collaborazione con adidas per la nuova collezione. Il mondo dello skateboarding ha pure dimostrato di recente il suo amore per la classica silhouette: a gennaio Blondey McCoy ha presentato il suo re-design della sneaker, lo stesso hanno fatto negli ultimi mesi anche Theo Constantinou di Paradigm e Mark Suciu.
Perchè le adidas Gazelle vanno di moda?
Il successo della sneaker dura in realtà da anni e lo scorso agosto, in un’intervista a Hypebeast, l’ Advanced Concepts Footwear Designer di adidas, Jean Khalife, ha provato a spiegarne l’appeal:
«Ho sempre pensato che la Gazelle sia un "outsider". È sicuramente una sneaker adidas iconica, ma non la prima a cui si pensa come la Stan Smith o la Superstar. È un po' più di nicchia, e anche un po' un paradosso: è una sneaker molto accessibile e democratica, ma non tutti ne hanno un paio - quindi indossarla ti fa comunque sentire speciale. […] Dal punto di vista del design, amo la qualità. Una tomaia interamente in pelle scamosciata che prende i colori in modo sorprendente, una sorta di vibe funky, anni '70».
Proprio quel vibe anni ’70 è probabilmente ciò che ha reso la Gazelle collaborativa co-firmata con Gucci così indovinata – ma la verità è che la sneaker possiede un’aura vintage abbastanza inossidabile dovuta al fatto che il design originario, che però risale al 1966, è sostanzialmente rimasto invariato nonostante le varie iterazioni della silhouette abbiano modificato e aggiornato la silhouette nel tempo. La Gazelle era stata progettata sul blueprint di un’altra sneaker, la Rom, creata per il team olimpico tedesco alle Olimpiadi di Roma del 1960. Una suggestiva versione dei fatti riportata da Neil Selvey, invece, vuole che il nome della sneaker provenga dalla centometrista americana Wilma Rudolph, che indossava adidas quando vinse l’oro alle Olimpiadi di Roma guadagnandosi il nome di “Gazella Nera”. Non di meno, come Selvey nota, Rudolph si ritirò dalle competizioni due anni dopo, e cioè prima del debutto ufficiale della sneaker nel ’66 e dunque forse la sua figura rappresentò un’ispirazione iniziale per la sneaker – che tra l’altro venne rilasciata in un periodo in cui adidas battezzava i propri modelli con nomi di animali molto veloci come Panther e Jaguar. I due modelli originali erano color-coded, come spiega Jean Khalife: «Le Gazelle blu erano per gli allenamenti al chiuso, quelle rosse per gli allenamenti all’aperto».
Molti indicano come tratto di novità principale delle Gazelle la costruzione in suede (originariamente era pelle scamosciata di canguro) che era al contempo più flessibile e leggero del cuoio ma comunque abbastanza resistente per sopportare l’attività fisica. La tomaia scamosciata, però, non aveva solo funzione pratica ma estetica: il materiale tende ad assorbire meglio il colore in virtù della sua porosità e dunque consentiva un range di colorway molto più elevato in un’epoca in cui il resto delle sneaker erano di pelle. Anche Gary Aspden, consulente di adidas e responsabile della linea Spezial del brand, confermò il fatto a Complex in un’intervista: «Quando vennero presentate, le Gazelle modificarono la percezione di cosa poteva essere una sneaker colorata. La tintura sulla pelle scamosciata era molto più vivida che sul cuoio». Dichiarare che fu con le Gazelle che il discorso più propriamente estetico entrò nella sneaker culture sarebbe radicale – ma sicuramente la silhouette estese e ampliò il concetto di colorway, spianando la strada a costruzioni con numerosi materiali diversi e all’idea di colorway come la intendiamo oggi.
Negli anni ’70 la percezione del modello andò incontro a una metamorfosi: nel ’72 il nuotatore olimpico Mark Spitz celebrò il suo trionfo alle Olimpiadi di Monaco tenendo in alto le sue Gazelle durante la performance dell’inno nazionale, attirando una forte controversia; nel ’73 il modello-sosia di adidas Jaguar soppiantò la Gazelle su cui comunque l’intera City Series del brand si basò nel futuro; nel ’76 la Gazelle apparve sulle pagine del leggendario magazine giapponese Popeye che ne cementò lo status nella nascente scena della moda di Tokyo pre-Harajuku e, nel ’79, la scarpa ebbe una riedizione sotto il nome di Gazelle Special. Negli anni ’80, invece, attraverso la diffusione della musica hip-hop nel Regno Unito e la sua fusione con lo stile calcio-centrico degli hooligan la Gazelle divenne un elemento centrale del vestiario giovanile, arricchendosi di una nuova colorway, e poi allargando la propria presenza in tutta la larghezza della scena urban: dalla breakdance allo skate, dall’hip-hop al mondo del basket.
Questa diffusione preparò il terreno agli anni ’90, momento in cui dal terreno della cultura hooligan sbocciò il fiore del Britpop: gli Oasis e i Blur inserirono la Gazelle in quel glossario sportswear che sarebbe poi diventato parte del linguaggio streetwear vent’anni più tardi. Nel frattempo la nascente legione delle supermodels adottava le Gazelle come scarpe sportive e disimpegnate per quando i tacchi della passerella diventavano scomodi. Fu l’incoronazione definitiva della Gazelle: i cool kids di mezzo mondo le indossavano, le scarpe erano colorate ma minimali, evocavano il mondo delle subculture americane ed europee e soprattutto erano accessibili in molti mercati e per ogni fascia di pubblico. Il loro successo fu il successo di un design democratico che, partendo dall’ispirazione iper-atletica delle origini, scoprì che lo sportswear poteva diventare il carburante per un fenomeno completamente diverso, che dallo sport mutuava le dinamiche sociali di gruppo e la popolarità presso le nuove generazioni ma che trascendeva l’idea di semplice performance atletica per avvicinarsi alla self-expression e a un linguaggio del vestire nuovo. Proprio le Gazelle di questo periodo furono replicate nel 2016 durante il rilancio della silhouette. Sempre Gary Aspden spiegò così il fenomeno a Complex:
«Stavo raccontando a qualcuno come Gazelle avessero superato il loro scopo e la loro funzione originale e come nessun atleta serio userebbe una scarpa come quella per allenarsi. Poi mi sono ricordato di averle viste addosso James Bond nella scena di uno dei recenti film di Daniel Craig. E se vanno bene a James Bond per i suoi allenamenti, chi sono io per dire il contrario?»