Supreme ci ha ricordato perché amavamo così tanto Burberry Prorsum
La nuova collaborazione dei due brand è un flashback all’era di Christopher Bailey
08 Marzo 2022
Prima che Riccardo Tisci rivoluzionasse il brand, dal 2001 al 2018, Burberry era il regno incontrastato di Christopher Bailey. Era l’epoca di Burberry Prorsum, una delle tre sub-label prima introdotte e poi eliminate da Bailey stesso, il cui nome però ha rappresentato un’era molto precisa per il brand e per il suo posto nel mondo della moda. È proprio quest’epoca che è stata rievocata con la recente collaborazione tra Burberry e Supreme – un tempo in cui l’immagine del brand era in crisi e il marchio stesso «era il bersaglio delle battute dei tabloid dopo che il suo check era diventato comune nelle curve degli stadi e indosso a celebrità da soap opera non esattamente celebrate per la loro eleganza», come scriveva cinque anni fa Jess Cartner-Morley sul The Guardian. L’epoca di Bailey era stata un momento storico dalla doppia faccia: da un lato c’era il restyling avviato dal designer e basato su, per citare Vogue, «nostalgia culturale inglese e da una cognizione di classe»; dall’altro c’era l’ormai consolidata presenza del brand nel repertorio della cultura dei chav e degli hooligans. La doppia vita proseguiva sul mercato “reale” con, da un lato, i classici abiti più formali di Burberry Prorsum o quelli più casual delle linee London e Brit e, nel mondo del vintage e dei knock-off, in item più sportivi interamente ricoperti dal celebre motivo a quadri beige.
Ma ciò che nei primi anni del 2000 alimentava i tabloid jokes inglesi, sarebbe diventato un heritage fatto e finito nell’era dello streetwear. Con la riscoperta delle subculture, l’immensa popolarità dell’hip-hop e un approccio più clemente verso la logomania, la cultura pop smise di odiare gli outfit degli hooligan e li trasformò invece in uno dei punti fermi della moda street. Secondo il The Sun era colpa delle «celebrità di serie D» capitanate da Danniella Westbrook se il marchio aveva perso la sua aura, ma in realtà per un lungo periodo due diversi Burberry convissero: quello “educato” di Bailey e dell’estetica preppy e quello “maleducato” degli hooligans e dei chavs, del brit pop e dei fratelli Gallagher.
Il risultato fu un’epoca straordinariamente ricca dal punto di vista della produzione e dei significati del brand. Con quale altro brand era capitato di vedere lo sviluppo parallelo di un linguaggio nella moda "alta" e di un altro nell'allora "bassa" cultura giovanile? Lo stile del menswear di Bailey può essere retrospettivamente definito come “quieto” ed è questo il motivo per cui oggi ne conserviamo una memoria vaga, eppure nel corso di 17 lunghi anni il designer ha esplorato tutti i lati dell’estetica british: i grigi dell’epoca edwardiana, i colori brillanti dei dandy vittoriani, l’abbigliamento da caccia e quello militare, la divisa dei rocker di Carnaby Street e quella dei posh kids di Knightsbridge. La sua era una moda conservatrice eppure, tra i confini molto stretti del suo ambito, Bailey aveva introdotto prodotti che, oggi, sarebbero modernissimi. Più fortuna ebbe l’estetica di Burberry nel brit pop e nella cultura chav – scene in cui l’heritage del brand si ridusse al motivo tartan, divenuto noto come “chav check”, abbassando il prestigio goduto dal brand ma fissandone per sempre la memoria nella coscienza collettiva.
La «fall from grace» che diluiva l’esclusività del brand segnò dunque il consolidamento definitivo di Burberry nella cultura pop – ed è da quel tipo di estetica che la collaborazione Burberry x Supreme è ripartita. La differenza principale tra la collabo e le attuali collezioni di Tisci sta nella differenza di reference: se Tisci ha portato le signature di Burberry verso il futuro con costruzioni più pulite e dal sapore contemporaneo, in linea con il riposizionamento upscale del brand; Supreme è tornata a concentrarsi sul passato recuperando il logo Equestrian Knight ma soprattutto la sua eredità sportswear di fine anni ‘90/primi 2000 fatta di bucket hat, polo con maniche lunghe e completi interamente ricoperti dal check. La legacy della cultura chav non è mai stata rigettata ufficialmente da Burberry, ma nemmeno ufficialmente accettata. «Non ho mai rinnegato questa tendenza, perché credo sia una parte fondamentale della nostra storia», spiegò a i-D Bailey stesso poco prima della sua uscita di scena.
E in effetti un valido predecessore del lookbook di Supreme visto oggi è la collaborazione del brand con Gosha Rubchinskiy nella collezione SS18 che reinterpretò l’immaginario chav in maniera assai più estrema di quella di Supreme. Proprio questa implicita accettazione evidenzia però come le subculture rimangano a oggi il più durevole tramite per traghettare la recognition di un brand da una generazione all’altra. Proprio in occasione dell’after party di quello show, Bailey disse a i-D:
«Il nostro brand va oltre le differenze sociali, oltre i privilegiati, oltre la classe operaia, oltre culture, subculture, musica, arte, calcio e sport; e io amo profondamente questa diversità»