I cappelli di Raf Simons ispirati all’arte fiamminga
Quando i dipinti di Bruegel incontrano il latex
22 Febbraio 2022
L’ultimo show FW22 di Raf Simons, andato in scena ieri tramite una presentazione digitale, ha segnato un cambio di marcia per il brand del designer belga che, dopo il cupo e minimalista show primaverile dello scorso settembre a Parigi, è tornato con una nuova esuberanza creativa che si è espressa, sulla passerella di ieri, tramite un uso eclettico dei materiali, di silhouette goticheggianti ma, soprattutto, tramite una nuova ispirazione che non è venuta, questa volta, dalle subculture giovanili ma da un dipinto di Pieter Brugel, i Proverbi Fiamminghi.
Il quadro di Bruegel, dipinto nel 1559, raffigura un panorama cittadino in cui ciascun gruppo di figure rappresenta un proverbio dell’epoca come “Sbattere la testa al muro”, “Inutile piangere sul latte versato”, “Stare sui carboni ardenti” e via dicendo. La figura centrale del quadro, un uomo con indosso una lunga cappa blu simbolo dell’infedeltà coniugale, è proprio la fonte di ispirazione del look di apertura dello show – un berretto a visiera che diventa una sorta di mantello creato, tra l’altro, dal modista Stephen Jones, l’abituale collaboratore di Kim Jones per i suoi show di Dior.
Il resto dei cappelli della collezione possiede forme sempre ispirate al quadro di Bruegel, che è popolato da circa un centinaio di figure o scene allegoriche diverse che forniscono larga ispirazione per gli altri copricapi dello show. L’idea del quadro, quella di rappresentare la follia e la stoltezza umana, è un tema che non pare essere esplorato troppo da Simons che per questa stagione è tornato a mescolare estetiche e ispirazioni apparentemente contrastanti – l’unico legame immaginabile con il quadro o il mondo fiammingo di Bruegel potrebbe stare nelle forme generali di certi look come quello nel finale che mescolava una specie di largo cappello Tudor in eco-pelliccia viola, una sorta di abito/camicia con spalline militari color rosa e lucidi pantaloni di PVC abbinati a una borsa arancione a forma di gigantesco fiocco.
Molti altri look sono stati minimalisti – composti da singole decostruzioni del classico trench o cappotto maschile replicate in pelle, vinile e lucidi materiali sintetici. Una serie di abiti femminili a metà tra il prairie dress, il fantasma della Londra vittoriana e gli abiti spage age di Pierre Cardin – i più corti dei quali diventano anche proposta di abito genderless come, negli ultimi due anni, lo erano state le camicie oversize. Altri e vari look sembrano proseguire il moodboard gotico, con cappucci neri, lunghe cappe, quei cappelli che non si capisce se si riferiscano alle feluche e agli elmi dei cavalieri o ai caschi di Ultimatum alla Terra o dei robot della fantascienza d’exploitation. Le parti della collezione più convenzionali, a cui Simons ci aveva già abituato nelle ultime collezioni, come ad esempio i completi stampati, sono decorati da una cuffia che pare uscita dal Medio Evo mentre una serie di memento mori, scheletri-gioiello che si baciano o penzolano ricoperti di gemme, decorano indifferentemente baveri di giacche e lobi delle orecchie.