Milano può tornare a essere il centro della moda?
La guerra per la rilevanza può essere vinta solo tramite un’alleanza di tutte le istituzioni
19 Gennaio 2022
Se la rivelazione della scorsa Milan Fashion Week Women’s è stata l’apparizione di un interessante gruppo di nuovi designer italiani come Marco Rambaldi, Alessandro Vigilante, ATXV, Andrea Adamo, Act n.1 o Cormio, per citarne alcuni, che si sono manifestati al mondo come la Divina Provvidenza; la bomba atomica del prossimo round di sfilate dedicate alle collezioni di womanswear a Milano sarà il ritorno nel calendario ufficiale di Gucci e di Bottega Veneta, due dei principali brand di moda al mondo, capaci di spostare le sorti del mondo della moda semplicemente scegliendo, per esempio, di tornare a sfilare a Milano. In effetti sembra proprio che la prossima stagione di grandi ritorni potrebbe riuscire a rinvigorire l’interesse di stampa e compratori verso Milano e invertire un ciclo di degenerazione iniziato anni fa che si sta, senza dubbio, trasformando in rigenerazione. Questo anche a causa del fatto che ora che Londra, per via della Brexit, è diventata off-limits per molti brand e che le altre fashion week europee, anche in ragione della loro relativa giovinezza, non sono ancora in grado di eguagliare il potere che ha Milano di diventare una piattaforma internazionale per i brand e i designer. Dopo tutto, il fenomeno dei fenomeni della moda mondiale, Off-White, è nato in via Manin grazie ad una struttura che si chiama New Guards Group, ora venduta a Farfetch ma in origine italianissima, grazie anche alla chiaroveggenza di Marcelo Burlon che nel frattempo abbiamo fatto espatriare invece di erigergli un monumento.
Fin qui, apparentemente, tutto bene ma rimane comunque vero che molti dei progressi che si stanno facendo verso la rigenerazione di Milano non sono dovuti a una sapiente orchestrazione sistemica ma al lavoro di singoli capitani coraggiosi che guidano da soli la propria nave ma non fanno parte di una flotta unitaria. Questo perché negli ultimi anni c’è stato maggior interesse a imbastire eventi faraonici come i Green Carpet, elargendo premi per motivi poco chiari a Miuccia Prada e Giorgio Armani, che a dare aiuti sistematici ai giovani designer attivi in città e perché le istituzioni cittadine si sono tenute a distanza dalla moda e anche perchè Vogue Talents, il contenitore di Vogue Italia dedicato ai talenti emergenti, ha cessato semplicemente di esistere. Tutte quante le istituzioni competenti in questione non si sono mai, almeno in tempi recenti, sedute intorno a un tavolo per concordare una strategia condivisa per mettere a fuoco il rapporto tra pubblico e privato, tra mega-marchi e giovani promesse, tra industria, artigianato e territorio, tra passato, presente e futuro, magari coinvolgendo le scuole di moda e le istituzioni museali come Triennale e Palazzo Morando.
Quello che si troveranno davanti Gucci e Bottega Veneta nel tornare in città è uno stato di eccitazione apparente che però, bisogna ammetterlo, non corrisponde ad una realtà dei fatti solida, costruita ed omogenea. Ciò che succede in questi casi è che ognuno dei personaggi coinvolti se ne lava le mani, avendo peraltro abbastanza ragione perché qui, come in Assassinio sull’Orient Express, tutti sono sospettati nessuno escluso. Questa constatazione non è però assolutamente risolutiva e ognuno dei singoli aspetti problematici ha radici così profonde che vanno talmente indietro nel tempo da dove essere affrontati, singolarmente, con estrema cautela. Il punto del discorso però è capire come uscire da questa impasse e trasformare la prossima fashion week in un concreto momento di rinascita non tanto per la moda italiana o per i giovani designer ma per la moda in generale. L’Italia infatti, per tradizione produttiva e culturale, è un apparato perfetto di creazione di contenuti, molto di più degli altri paesi e potrebbe diventare un esempio per il mondo intero.
Forse è arrivato il momento di pensare a un progetto sistemico che non abbia la velleità di rincorrere le altre capitali della moda ma che tenda a riaffermare il modello italiano, fondato da sempre sull’armonia tra chi inventa e chi realizza e che potrebbe restituire centralità al discorso sulla moda. Il mai troppo lodato Michel Foucault, padre dello strutturalismo in sociologia, sosteneva che i rapporti e le relazioni tra ruoli all'interno di organizzazioni consolidate tendano a riprodurre schemi di potere e di dominio che pongono quella stessa organizzazione, o istituzione, in una condizione di autoreferenzialità che la porta a riprodurre problemi, piuttosto che a risolverli, esattamente con lo scopo di consolidare e mantenere posizioni di potere nell'ambito dell'organizzazione sociale e, più in generale, della società nel suo complesso. Alimentare un sistema vorrebbe di fatto dire bypassare questa condizione di autoreferenzialità di cui quasi tutte le istituzioni della moda italiana soffrono e aprire un circolo positivo e dinamico di aiuto reciproco.
Senza voler ricadere nella speranza di un eroico condottiero che salva il mondo ma di cui poi tutti vorrebbero sbarazzarsi, in questo momento esistono persone intelligenti e aperte al dialogo che credo non aspettino altro che sedersi intorno al famoso tavolo di cui sopra: Francesca Ragazzi, nuova chief editorial content di Vogue Italia, Tommaso Sacchi, neo assessore alla cultura del Comune di Milano, Sara Maino, creatrice di Vogue Talents e brand ambassador di Camera Moda, Ilaria De Palma, conservatore delle raccolte storiche di Palazzo Morando, per dirne alcuni. Per concludere, a onore del vero, forse in pochi ricordano che Stefano Boeri ai tempi in cui era assessore alla cultura a Milano aveva cominciato a costruire solidi ponti tra le istituzioni comunali e la moda e aveva anche organizzato una due giorni di ascolto di centinaia di persone del settore che era stata veramente interessante. Di quell’evento unico forse da qualche parte, in qualche ufficio del comune di Milano, è rimasta traccia e forse da quei fogli spiegazzati o da quel file nascosto in fondo a qualche sottocartella si potrebbe ripartire. Per ricominciare a parlare. Con l’aiuto, il sostegno e l’approvazione di grandi brand come Gucci e Bottega Veneta.