Le nuove iniziative di mentorship stanno rivoluzionando il Made in Italy?
Come la tutorship dei grandi brand sta lanciando nuovi talenti
18 Gennaio 2022
Da quando il Financial Times ha pubblicato un articolo dedicato ai «designer che stanno guidando il Rinascimento italiano», i riflettori di tutto il mondo sono puntati su Milano. Intervistando Marco Rambaldi, SUNNEI, Medea e altri marchi di questa new generation di stilisti, il noto quotidiano economico ha riacceso il dibattito sul concetto di mentoring e sul potenziale del "sistema" italiano. Vitelli, Cormio, Andrea Adamo o Act N°1, hanno conquistato celebrity, addetti ai lavori e appassionati attraverso una narrazione consapevole della contemporaneità, dimostrando di avere tutte le carte in regola per rappresentare il Made in Italy ai vertici internazionali e, soprattutto, di poter competere con Parigi.
A livello globale, il merito di aver introdotto un approccio collaborativo basato su un rapporto di tutorship nel mondo della moda è senza alcun dubbio da attribuire a Virgil Abloh. Mentore di Samuel Ross, Heron Preston e molti altri creativi, durante il lockdown Abloh ha lanciato un programma online di istruzione gratuito e ha aperto un fondo a disposizione degli studenti neri che sognano un futuro nel fashion industry. Contrariamente alla struttura del sistema statunitense, che mira il più possibile a catalizzare l’attenzione sulle menti creative del proprio paese, nella scena italiana è sempre prevalsa e prevale tutt’ora un’ottica individualista che trascende la nazionalità di appartenenza. I nuovi programmi di mentorship sono il risultato di anni e anni di tentativi e suggerimenti da parte degli esperti, durante i quali l’unico punto di riferimento è stato per un lungo periodo Giorgio Armani. Nel 2013 il "re di Milano", collaborando con CNMI (Camera Nazionale della Moda Italiana), ha aperto le porte dell’Armani/Teatro per promuovere ogni sei mesi le presentazioni dei lavori di designer emergenti del tempo, cominciando dalla prima sfilata di Andrea Pompilio, passando per quelle di Stella Jean, Vivetta sino a designer internazionali come Ujoh e Yoshio Kubo.
Negli anni successivi, il quadro non è cambiato molto, o almeno così è stato fino a quando Alessandro Dell’Acqua ha avviato il suo personale programma di mentorship per sostenere le nuove promesse del fashion system. Insieme al partner commerciale Tomorrow London, il fondatore, owner e direttore creativo di N°21, ha annunciato di voler mettere ogni anno l’intera filiera a disposizione di due giovani talenti, affiancandoli dal primo momento del processo creativo fino all’arrivo delle collezioni in negozio. I primi designer a essere stati notati da Dell’Acqua sono stati Alfredo Cortese di AC9 e Nensi Dojaka, vincitrice del LVMH Prize 2021. Per chiudere il cerchio, i designer emergenti hanno firmato alcuni capi di N°21 con l’obiettivo di reinterpretare i codici estetici del brand, dando vita a due capsule che poi sono state inserite nella main collection. Un esercizio stilistico perfettamente riuscito che fa riflettere sul processo di scambio generazionale e che non poteva essere fermato, difatti er scrivere il secondo capitolo di quello che è stato a tutti gli effetti un sodalizio rivoluzionario, Alessandro Dell’Acqua ha scelto il creativo napoletano Valerio Leone.
L’esempio di N°21 non è rimasto un caso isolato. Sul finire dello scorso anno, Valentino e CNMI, hanno annunciato l’avvio di un nuovo progetto in sostegno per i designer emergenti. Con l’obiettivo di offrire «l’opportunità di usare la nostra piattaforma social come palcoscenico dove poter amplificare il loro lavoro ed i loro messaggi», la storica maison e l’istituzione italiana promettono di trasmettere la sfilata di una giovane promessa del Made in Italy in diretta su Instagram. Dopo una selezione basata su un criterio di "affinità valoriale", l’operazione che Pierpaolo Piccioli ha definito «molto di più di una semplice dichiarazione» punta tutto sulla promozione e offre la chance di ottenere visibilità su larga scala durante la settimana della moda sull’account instagram di Maison Valentino, che conta oltre 15 milioni di follower. Ad aprire le danze sarà l’opera di Marco Rambaldi che, di stagione in stagione, continua a sorprendere grazie a una «visione di bellezza caleidoscopica». In questo contesto si inserisce virtualmente anche il concept store Gucci Vault che, oltre a essere un "cabinet of curiosities" e sede di contaminazioni espressive, ospita i capi più rappresentativi di alcuni giovani talenti internazionali. Mentre una menzione speciale va anche a Dolce & Gabbana, che ha investito sulla collezione della promessa coreana Miss Sohee nella location di Porta Venezia.
C’è poi da considerare la questione economica: come racconta M.C. Nanda su Business of Fashion i giovani creativi sono sempre meno propensi verso i tradizionali modelli di investimento, che li renderebbero dipendenti dai bisogni dei grandi gruppi finanziari, e stanno esplorando nuovi modelli imprenditoriali. E se da un lato tutti sapevano che questo momento sarebbe arrivato da quando, tra gli ultimi anni ’90 e i primi Duemila, i maggiori investitori hanno invaso il fashion industry determinando il declino degli stilisti per come li conoscevamo un tempo, dall’altro si tratta dell’ennesimo segnale di un cambiamento in arrivo. I big italiani potranno scegliere di ignorarlo, accettando uno scenario di isolamento e declino, oppure potranno sposare il cambiamento, istruendo i giovani talenti, spingendo i nuovi nomi del Made in Italy come Federico Cina, Des Phemmes, Alessandro Vigilante e Gentile Catone, e offrire loro il proprio supporto. Come un piccolo sistema unico a circuito chiuso che illumina tutto lo spazio.