A Milano è come se fosse tornato il lockdown
Come il virus sociale influenza la vita della città
14 Gennaio 2022
Quando qualche giorno fa, a pochissima distanza dall’inizio della Milan Fashion Week Men’s, Giorgio Armani aveva annunciato che avrebbe cancellato i propri show fisici, tutti gli insiders dell’industria hanno provato uno sgradevole senso di dejà vu. Armani era stato il primo a cancellare i propri show all’inizio della prima ondata pandemica, ed è rimasto ancora nella memoria collettiva come il designer più prudente di tutti – e anche quest’anno la cancellazione del suo show ha portato a un effetto domino, più contenuto rispetto a due anni fa, che ha visto molti appuntamenti fisici sparire dal calendario della città in quello che sembra un remake delle fashion week/videofestival del biennio appena conclusosi. Ma il senso di dejà vu non si ferma alla sola fashion week: già a capodanno ristoranti e bar avevano perso il 30% dei loro introiti; secondo La Repubblica le presenze sui mezzi pubblici sono calate del 26% in un mese mentre altre stime il 10% delle vetrine della città è rimasto spento dopo le feste. Secondo Arianna Censi, assessora alla Mobilità, si tratta della «curva dei contagi di questo periodo: alle persone ammalate si aggiungono le persone in quarantena e tutte quelle in smart working». Sempre su La Repubblica, la variante Omicron è stata definita un «virus sociale», che cioè è meno pericoloso, ma rimane così contagioso da bloccare effettivamente il funzionamento della società, con moltissimi asintomatici e non chiusi in casa e un senso di disagio che scoraggia i consumi e forti rallentamenti nei servizi.
Nei precedenti articoli in cui nss magazine aveva descritto la situazione della città durante le varie fasi della pandemia, era stato sottolineato come l’equilibrio dell’ecosistema milanese si fondasse sulla sinergia di attività commerciali, culturali e sociali – come si legge nella digital cover di nss magazine Milano Sospesa: «Il modello che ha guidato la crescita di Milano si basa sulla connessione fisica tra persone e spazi, tra istituzioni pubbliche e brand. Dagli aperitivi fino ai club, passando per eventi, brunch e chiacchierate, Milano ha basato la sua crescita sull’intersezione di idee, progetti e visioni». Un processo che però smette di funzionare se la città si svuota, se i suoi lavoratori sono lontani o contano i giorni dell’isolamento a casa dopo essere andati a una cena tra amici, se la nightlife cittadina si spegne e le sue attività migrano in un mondo digitale delocalizzato. Oggi ovviamente le cose sono diverse dal 2020: nel caso della fashion week, ad esempio, la Camera della Moda ha deciso di andare avanti, sicura che la curva dei contagi sia gestibile, che un sistema di controllo funzionante esista. È questo tipo di fiducia a segnalare un progresso rispetto al passato. A oggi sono ancora molti i brand milanesi a confidare nella sicurezza delle misure sanitarie e proseguire con show fisici – sia pesi massimi come Prada, 1017 Alyx 9SM, Fendi e Dolce & Gabbana, sia i virtuosi indie della scena locale come Magliano, Federico Cina e Jordanluca.
La palla, però, rimane ancora al centro e la partita sarà rigiocata alla fine di febbraio, con la fashion week femminile che, si spera, avrà luogo in tempi più tranquilli e soprattutto metterà in pratica il più pratico formato Co-Ed. Ma soprattutto, per quanto ciò che riguarda l’universo milanese che esiste al di là della moda, bisogna rimuovere quella «cappa di timore e incertezza», come l’ha definita Carlo Massoletti, vicepresidente vicario di Confcommercio Lombardia, applicando anche «consolidate e diffuse misure di sicurezza» per una ripresa di quel ciclo virtuoso che trasformava la socialità umana di Milano in carburante delle attività economiche e culturali e le dava quel ruolo di città europea e mondiale e l’ha resa nei decenni un esempio per l’Italia e per l’Europa.