Ridefinire la narrativa intorno alla storia di Paolo Gucci
La figlia del designer, Patrizia Gucci, ha fatto chiarezza sulla vicenda di suo padre
23 Dicembre 2021
DISCLAIMER: L'articolo originale pubblicato su nssmagazine lo scorso 17/12/2021 è stato aggiornato alla luce della testimonianza fornitaci da Patrizia Gucci, figlia di Paolo, che ha voluto illuminare alcuni retroscena sulle vicende della vita del proprio padre.
Il 10 dicembre 1995 le pagine de La Repubblica titolavano: «È morto a Londra Paolo Gucci, Re delle Borse». Una morte che pose fine a una vicenda umana e professionale complicatissima che aveva, al suo centro, un uomo con il sogno di diventare un designer. Tanto nella storia che condusse all’omicidio di Maurizio Gucci quanto nelle sue vicende professionali, la vita di Paolo Gucci fu segnata dalla mistificazione da parte dei media. Una narrativa che ancora oggi risulta poco chiara ma che sua figlia, Patrizia Gucci, ci ha aiutato a ricostruire: proprio lei ci ha raccontato come i suoi molti conflitti con la famiglia siano in realtà stati delle animose discussioni «perché lui voleva essere riconosciuto come designer, e gli altri non volevano». Sul piano delle relazioni, persino Wikipedia sbaglia a elencare i suoi matrimoni: Patrizia Gucci asserisce infatti che l’unica moglie di Paolo sia stata Yvonne Gucci Moschetto, mentre una serie di documenti originali da lei custoditi provano che il secondo matrimonio con Jenny Garwood venne dichiarato nullo nel ’93 a New York. Tra l’altro Patrizia ci ha raccontato che suo padre è stato in compagnia di sua moglie Yvonne in Italia una settimana prima della morte a Londra. Persino la vicenda dei suoi 119 cavalli, ritrovati in stato di grave malnutrizione dalla polizia di New York nel novembre del ‘93 e riportata da Repubblica risulta «inventata completamente per danneggiarlo e poi mandata ai giornali. Lo scopo era di vendere i cavalli arabi, di grande valore». E persino il blitz nel marzo del 1986, quando, per citare Repubblica, «un blitz di avvocati, ufficiali giudiziari e persino un tecnico di brevetti di una società torinese […] ha concluso a sorpresa l'avventura romana di Paolo Gucci […] che presentava ieri la sua nuova collezione», viene negato alla figlia del designer che invece ha detto: «Non c’erano questioni di copyright, era solo che non volevano che lui facesse la sua linea, ma fu una decisione molto lenta che venne nel tempo».
Una storia con alla base tanto la cronaca quanto la psicologia, che sicuramente lo stesso Jared Leto èha pesantemente deformato e quasi vilipeso nel suo recente e chiacchierato ruolo in House of Gucci. Eppure, anni dopo, la nuova cultura digitale ha fatto riemergere dall’oscurità proprio quelle collezioni di Paolo Gucci che suo cugino Maurizio tanto lottò per seppellire per sempre. Molti di quei design, che includono borse, gioielli, foulard e accessori, sono di recente riapparsi su Vinted e Grailed – la redazione di nss magazine ha voluto recuperarne alcuni e rimetterli insieme come probabilmente non erano stati insieme dagli anni ’80. Anche ciò che vediamo oggi della produzione di Paolo Gucci è, secondo sua figlia, solo una minuscola frazione di ciò che suo padre disegnò: «La sua linea, non ebbe successo, perché subito la sua morte Gucci, comprò i diritti di Paolo Gucci e fece sparire anche gli oggetti suoi. I pezzi che avete fatto vedere del suo brand sono propri i primi, ma sono brutti. Aveva fatto e disegnato cose bellissime, con la sua linea che io conservo ancora». Ma c'è di più: Paolo Gucci diresse per vent'anni la celebre fabbrica di Scandicci del brand, lavorando come «una fucina di idee». Ma il dato più interessante che Patrizia Gucci ci ha rivelato è che suo padre avrebbe provato a introdurre una linea di jeans di lusso di Gucci negli anni '70, prima di Fiorucci, Calvin Klein e di chiunque altro - un'idea che, se fosse stata perseguita, avrebbe costituito un primato nella storia della moda di lusso.
La sua linea ebbe una vita breve anche se nel 1988 comunque, come si legge su The Fashion Law, «il tribunale ha ritenuto che Paolo avesse ingiunto di utilizzare solo il suo cognome come marchio, ma gli fosse stato permesso di utilizzare Paolo Gucci per identificarsi come il designer di prodotti commercializzati con un marchio diverso con una dichiarazione di non responsabilità che non era più affiliato a nessuna delle entità Gucci». In sostanza, Paolo avrebbe potuto utilizzare il proprio logo per la propria linea, che però doveva includere sia il suo nome che il suo cognome e dunque PAOLO, BY PAOLO GUCCI. Di fatto segnando una vittoria storica che costituisce uno dei brani principali del complesso filone legale che riguarda le questioni di copyright all’interno di brand di famiglia oltre che delle omonimie. E che si concluse, però, con un buy-back dei diritti del brand da parte di Gucci alla morte di Paolo.
Che cosa ne sia stato della linea di Paolo Gucci non è del tutto chiaro: secondo il necrologio pubblicato da WWD nel ’95, la sua linea «non ha mai avuto successo», frase che implica che sia stata commercializzata a un certo punto tra il 1988, dopo la sentenza, e l’anno della morte del designer prima di essere ricomprata e fatta sparire. Con la morte di Paolo e Maurizio a distanza di pochi mesi, l’intera saga dinastica e mediatica iniziata dalla morte di Rodolfo Gucci e conclusasi con quella di suo figlio, si era messa la parola “fine” anche al sub-plot di Paolo Gucci, la sua carriera ridotta a una nota a piè di pagina nella storia ben più gloriosa del brand. Eppure nessuno, negli anni ’90, poteva immaginarsi che l’evoluzione della moda avrebbe fatto riemergere quegli item dall’oscurità: la moderna passione per la moda d’archivio, per gli item che, al di là della propria apparenza, custodiscono significati particolari o testimoniano fenomeni storici, ha riacceso un certo interesse nei design di Paolo Gucci – se non per la qualità del loro design, almeno per il loro status di “reliquia” ironica e post-moderna. Dopo tutto, tanto Gucci che Balenciaga, negli ultimi anni, hanno giocato con l’idea di legit fake e di autenticità e i design di Paolo Gucci si inseriscono in questo discorso arricchendola con il cultural value dell’archivio.
È probabile che i pezzi di Paolo Gucci non raggiungeranno mai il grail status di item storici come quelli di Raf Simons o Rick Owens, ed è anche probabile che l’attenzione che stanno suscitando adesso finirà a qualche mese di distanza dalla release del film – non di meno, quegli stessi oggetti rimangono una testimonianza unica dei tempi, oltre che della vita di un personaggio storico che ha lottato tutta la vita per essere riconosciuto contro persone che amava e che hanno fatto di tutto per non riconoscerne l'indipendenza - e la cui memoria viene riabilitata soltanto adesso, a più di dieci anni di distanza, nonostante i suoi molti tentativi di farla tacere per sempre.