I giganti dormienti del lusso italiano
Da Loro Piana a Brunello Cucinelli, il lusso stealth italiano che oggi sta provando a reinventarsi
05 Novembre 2021
«Noi non vorremmo fare moda», ha detto Brunello Cucinelli alla conferenza di Milano dello scorso 28 ottobre. «Noi vorremmo fare gli artigiani dell’umanità». Una frase che era riferita al progetto di Biblioteca Universale presentato la settimana scorsa dal designer e imprenditore umbro, ma che potrebbe spiegare bene la natura a volte enigmatica del brand che porta il suo nome. Cucinelli è famoso in tutto il mondo per i suoi pullover di cashmere, per i suoi total look completamente neutri e anonimi indossati da Jeff Bezos e Mark Zuckerberg, che dal designer si fa firmare tutte le t-shirt grigie che indossa, oltre che da metà dei potenti della Silicon Valley. Di recente, fra l’altro, il designer ha parlato al G20 di Roma stringendo le mani di politici e primi ministri, dopo aver quasi concluso un 2021 in cui, nel primo trimestre, i ricavi sono cresciuti di 313,8 milioni di euro solo nel primo trimestre e un aumento delle vendite del 32,7% nei primi nove mesi dell’anno e conta oggi 2200 dipendenti e più di un centinaio di flagship sparsi in tutto il mondo.
I pullover in cashmere di Cucinelli, così come i completi su misura di Stefano Ricci e le camicie di Kiton sono tutte espressioni di un lusso tanto estremo quanto discreto, figlio della storia italiana dove, soprattutto in provincia, non era bene ostentare il proprio benessere con abiti eccessivamente opulenti e che dunque ha generato negli anni un proprio, sobrio e soprattutto castigato codice stilistico. Cucinelli è forse il più celebre capofila di una serie di brand italiani definibili come stealth wealth che include Loro Piana, Kiton, Stefano Ricci ma anche Canali e Corneliani specializzati in un particolare tipo di sartorialità iper-tradizionale profondamente radicata nell’etica del Made in Italy e del savoir-faire artigianale che oggi grazie a macrotrend di mercato come il ritorno del luxury normcore e il fascino per l’archivio stanno riprendendo un appeal internazionale che era scomparso dopo un decennio segnato da hype e logomania.
La differenza tra questi brand e tutti gli altri è l’aspirazionalità, o la sua assenza. Un brand aspirazionale è, per sua definizione, un marchio i cui prodotti tutti vorrebbero comprare ma non possono e che dunque investe molto in marketing, campagne, sfilate. Nel caso dei brand sopra citati, invece, l’appeal è completamente diverso: tutto il focus è sul taglio e sui materiali, i loghi praticamente non esistono, la loro offerta è più adatta al business meeting che alla fashion week – eppure sono i brand preferiti dalla clientela più ricca del pianeta. Non a caso, nel giugno 2019, nella città di Cucinelli, Solomeo, una frazione del comune di Corciano in provincia di Perugia, si sono riuniti per un summit ufficioso a base di paccheri e simposi umanistici il co-founder di LinkedIn, il co-founder di Dropbox, l’ex e l’attuale CEO di Twitter, un’altra mezza dozzina di tech executives, l’ambasciatore austriaco degli Stati Uniti e Jeff Bezos. Il motivo per cui questi brand adottano una strategia di marketing lontana dalle dinamiche dell’hype è semplice: sono già in cima alla catena alimentare – un ruolo che consente loro, ad esempio, di dedicarsi a progetti culturali più “alti”, come appunto l’istituzione di una Biblioteca Universale, e meno direttamente dipendenti dalla facile popolarità dei social e dal superficiale ciclo dei trend.
LVMH e la lotta per la rilevanza
Tutti i brand che fanno parte del gruppo dei “giganti dormienti” sono italiani, come si è detto, e spesso a conduzione familiare e dunque indipendenti nelle proprie operazioni. Unica eccezione è Loro Piana, posseduto per l’85% da LVMH. A differenza dei big players di LVMH come Louis Vuitton, Dior o Fendi, Loro Piana è uno dei brand “in panchina” del gruppo, insieme a Patou, Moynat o Emilio Pucci. Per anni il marchio ha avuto le sue vendite e i suoi negozi ma è rimasto lontano dal caos della moda mainstream mantenendo un’immagine molto tradizionale. Per questo è apparsa inizialmente insolita la sua collaborazione con Matthew Williams e Stussy per una capsule di workwear l’anno scorso, e ancora più insolita la recente capsule creata insieme al titano dello streetwear giapponese Hiroshi Fujiwara. Tutta una serie di movimenti (incluso il gossip di una direzione creativa assegnata a Phoebe Philo) che di solito precedono l’avvio di un comeback del brand che, la scorsa settimana, ha in effetti nominato un nuovo CEO, l’ex-manager di Dior Couture, Damien Bertrand che, come scrive WWD, dovrebbe «guidare una nuova fase dell’evoluzione di Loro Piana e lo sviluppo di nuove categorie di prodotti».
È chiaro che, dopo aver solidificato ed espanso a sufficienza il business dei propri brand più importanti, LVMH abbia volto gli occhi su Loro Piana, marchio solido anche se virtualmente invisibile, sponsor di gare d’equitazione e di regate tra super yacht, ma anche abbastanza conosciuto da essere rilanciato – specialmente in un frangente storico in cui, stanca della girandola continua dei trend di moda, una parte della clientela Millennial di LVMH è andata in cerca di realness, di heritage, di concreta qualità artigianale, di una maturità di stile che, pur rimanendo nell’ambito luxury, non può passare di moda ed è dunque per sua natura rassicurante e affidabile. E se la prima collaborazione con Matthew Williams e Stussy ha riportato nella coscienza collettiva la nozione della qualità dei tessuti di Loro Piana, è stata la seconda con Fujiwara ad esprimere la volontà di far dialogare le audience più giovani con il brand e, dunque, rilanciarlo nel novero dei brand rilevanti, desiderabili, aspirazionali.
Gli heritage brand e il mondo post-pandemia
In realtà è probabile che Loro Piana desideri riposizionarsi solo in parte, tornando sotto i riflettori a reclamare il prestigio che gli spetta senza diventare eccessivamente commerciale. Il “risveglio” del brand, però, potrebbe suggerire al resto degli altri marchi italiani di ultra-lusso sartoriale di seguire il suo esempio. Uno di questi è Canali, fondato nel 1934 e ancora gestito dalla famiglia originale, che ha di recente co-firmato una capsule insieme al brand emergente 8ON8 diretto dal designer cinese Li Gong. La capsule è «un esperimento su come interpretare l’iconica sartoria di Canali per una generazione più giovane», ha spiegato Li Gong a WWD, e segnala la volontà del marchio di acquistare visibilità presso i Millennial e i Gen Z nell’importante mercato cinese che costituisce circa il 20% delle vendite globali del brand che sono attualmente in crescita. Nel comunicare alla stampa della capsule, Canali ha insistito sulla credibilità e sulla storicità dell’azienda – ma sottolineando anche come, nelle parole di Alessandra Turra di WWD, «una delle principali sfide dei brand storici oggi è muoversi verso il futuro con credibilità e autenticità».
Questo tipo di sfida, quella per l’aggiornamento e l’innovazione, potrebbe non rappresentare un’urgenza per un brand forte come Brunello Cucinelli, per Kiton o Stefano Ricci che lo scorso maggio registrava un aumento delle vendite del 58% trainate da Cina, Russia e USA aprendo anche tre nuovi negozi a Bangkok, Kuala Lumpur e Changsha. Eppure il lento risveglio di Loro Piana e il suo movimento verso i Millennial e la Gen Z, oltre che la volontà di espansione di heritage brand come Canali, evidenzia come lo shock della pandemia abbia creato dei nuovi potenziali spazi di espansione per una serie di brand che, pur armati di heritage storico e craftmanship artigianale, sono finora rimasti nelle retrovie della moda. Nello specifico, la ricerca di qualità e credibilità senza tempo da parte di un pubblico sempre più giovane in seguito alla pandemia ha aperto la strada a questo tipo di cambiamento, specialmente in un mercato importante come la Cina. Proprio da lì, ragionando sulla riuscita di un’operazione logo-heavy come Fendace, Lisa Nan di Jing Daily scrive:
«Oltre ad attirare la Gen Z con le continue novità, i brand di lusso dovrebbero rieducare quel segmento sul proprio heritage, che poi è l’origine stessa del loro status – riportarlo in vita significa che potranno uscirne sempre vincitori. I design possono essere copiati, ma non si può copiare la storia. […] Questo è il modo di creare relazioni forti: aiutare i propri fan a comprendere il valore dei prodotti che stanno acquistando».