Anche Valentino si lancia nel mondo del vintage
Dando modo ai clienti la possibilità di scambiare i propri item vintage con un credito da usare in boutique
28 Ottobre 2021
La nuova iniziativa Valentino Vintage, lanciata ieri dal brand di Pierpaolo Piccioli, va ad arricchire ulteriormente l’amore del secondhand che l’intera industria della moda sta iniziando ad abbracciare negli ultimi mesi. Il funzionamento è semplice: sarà possibile consegnare i propri item vintage di Valentino in una selezione di vintage shop in tutto il mondo ottenendo un credito da spendere nelle boutique del brand. Il progetto, che sarà attivo a Milano, New York, Los Angeles e Tokyo, presenta una notevole differenza rispetto a quelli già messi in pratica da Gucci, Alexander McQueen e Jean-Paul Gaultier. Tutti i brand appena citati, infatti, hanno aperto marketplace in cui i prodotti secondhand messi in vendita sono recuperati dai propri archivi ma anche da collezionisti e clienti privati che consegnano i propri item in cambio di voucher da spendere negli store del brand. La differenza principale è che gli altri brand contattano i collezionisti mentre per Valentino Vintage c’è una vera e propria open call a tutti coloro che possiedono item vintage del brand ed è dunque un progetto dallo scope più collettivo che trasforma i potenziali clienti in asset. Qualcosa di simile fa anche Diesel col programma Second Hand che prevede che i capi in denim di Diesel usati siano ritirati dai negozi e valutati da esperti prima di essere ricondizionati ed entrare nel marketplace online.
Nella prima fase del progetto si potrà accedere, sul sito del brand, alla pagina con i contatti dei Vintage Store che partecipano a questa iniziativa e richiedere una valutazione del proprio capo Valentino inviando una foto. Qualora la valutazione sia positiva e si vorrà procedere alla vendita, si riceverà un credito da spendere in specifiche boutique Valentino che devono essere nelle stesse città in cui è avvenuta la vendita. A partire da gennaio, poi, i capi selezionati saranno rimessi in vendita dagli stessi store con una serie di modalità (e presumibilmente attivazioni) che ancora non sono state rivelate. Qui è sicuramente interessante notare che, invece di un marketplace digitale, la vendita dei capi avverrà in store – cosa che da un lato implica un rapporto di partnership con le boutique stesse e che, dall’altro, con la limitazione geografica di queste vendite, aumenta il valore percepito dei capi venduti e dell’intera operazione.
Ancora non è chiaro se la vendita di item sarà limitata ai soli quattro vintage store o esteso ad altri ma se così fosse il senso di esclusività dell’operazione risiederebbe nel fatto che i capi di vintage selezionati da Valentino saranno disponibili soltanto in quattro location in tutto il mondo. Probabilmente le location aumenteranno se il progetto si dimostrerà un successo (sarebbe difficile infatti pensare di escludere Parigi, Londra o Shanghai dall’operazione) ma soprattutto si consentirà a nuove fasce di pubblico di interagire col brand, fidelizzandosi. In realtà le modalità di valutazione e partecipazione del progetto implicano già dal principio un engagement del cliente che, anche se del tutto nuovo, può provare a partecipare alla selezione dei capi vintage. Il piano di partnership con realtà commerciali site-specific, poi, è stato già collaudato con la collaborazione con edicole in tutto il mondo come Casa Magazines a New York o i takeover delle edicole di Milano durante la Design Week. Una simile strategia è stata seguita anche dal programma Second Hand di Diesel, i cui denim ricondizionati, oltre al marketplace online, sono disponibili in sole tre location fisiche, tutte in Italia, e cioè Milano, Roma e Firenze.
La mossa di Valentino, in ultima analisi, rappresenta un importante passo avanti nell’avvicinamento del luxury fashion e del mercato secondhand – mercato che, secondo ThredUp, dovrebbe raggiungere un giro d’affari di 77 miliardi di dollari entro il 2025. Nonostante ciò, i flirt dei brand con il mondo del resell rimangono ancora in una fase altamente sperimentale. Un chiaro segnale che l’industria del lusso sta ancora cercando di trovare un format efficace per incorporare il mercato del resell al proprio business, creando canali secondari alternativi che da un lato possano attirare nuove fasce di pubblico e dall’altro non diluiscano la preziosa brand equity. Il rischio è, da un lato, quello di alienarsi la classica clientela del resell, che magari si rivolge al secondhand per motivi economici oltre che di ricerca; dall’altro quello di diluire l’esclusività delle nuove collezioni.