Le sneaker sporche sono le nuove sneaker pulite?
Tra la fine dell'hype culture e l'inizio di una nuova epoca
05 Novembre 2021
Se anche voi avete vissuto gli anni d'oro della sneaker culture avrete sicuramente familiarità con il concetto di scarpa deadstock. In quella nicchia di appassionati che racchiudono le proprie sneaker in sottili strati di plastica, il termine deadstock rappresentava il punto di partenza nella vendita e nell'acquisto di una sneaker: nuova, immacolata e soprattutto pulita. Non è un caso se l'apice della sneaker culture ha coinciso con una crescita esponenziale dei prodotti di sneaker cleaning, così come dei servizi che in cambio di pochi euro promettevano di restituirvi le vostre scarpe come nuove. Quella che per molti sembrava un'ossessione era in realtà un riflesso di quello che era diventato il mondo delle sneaker, in cui il valore affettivo si univa a quello economico trasformando una scarpa tanto in un asset quanto in un simbolo emotivo. Con la progressiva morte della sneaker culture per come la conoscevamo, anche l'ossessione per le scarpe pulite ha lasciato spazio all'avanzata delle dirty sneaker, diventate nel corso del tempo un trend che ha visto tra i suoi maggiori protagonisti brand come Gucci, Acne Studios e Golden Goose.
Sporche, disegnate o in qualche caso anche "riparate", le sneaker si sono trasformate in un laboratorio di idee in cui il sogno della scarpa bianca appena uscita dalla scatole ha lasciato il passo a quello della sneaker segnata e consumata dall'uso, vero o finto che sia. Se non erano i designer a farlo ci pensavano i consumatori, che con il passare del tempo hanno perso l'ossessione per le sneaker candide e immacolate, preferendo quel segno di vissuto che riporta alla mente l'idea per cui "le Converse sono più belle sporche". Come solo il fashion system riesce a fare però, le dirty sneaker sono passata dall'essere un trend per appassionati a un vero e proprio affare da passerella, riuscendo a trasformarsi in oggetti culto come nel caso delle Stan Smith parte della collabo di Raf Simons con adidas FW15 o delle sneaker di Saint Laurent con Hedi Slimane nella SS16, precursori delle già citate Golden Goose ma anche delle "scandalose" Margiela Fusion, le sneaker della maison francese da oltre mille euro in cui il concetto di dirty si eleva al "repaired".
Ben prima di diventare "dirty" però, le scarpe erano stante anche "ugly" in un precedente per cui la figura della scarpa, da sempre sinonimo di benessere, o freshness per usare un altro termine, si è sfigurata, diventando sempre più grande e deforme. Un processo che ha visto come protagonista Demna Gvasalia, padre della ugly sneaker che con le Balenciaga Triple S nel settembre del 2017 ha scardinato qualsiasi credenza sul mondo delle sneaker. Nonostante il trend delle scarpe sporche esista da anni, con la lenta discesa della sneaker culture e della frenesia dietro a ogni cop, questo sembra aver trovato una seconda vita fuori dagli atelier dei designer, scoprendo una nuova casa nelle scarpiere e nelle collezioni di quelli che prima vivevano con l'ansia costante di trovare una macchia sul proprio paio di Nike. Uno shift che ha visto la divisione di due fazioni distinte tra chi indossa e utilizza le proprie sneaker senza curarsi delle conseguenze e chi invece vede nelle scarpe un investimento con un valore in continua crescita, una mentalità che troverà probabilmente una nuova vita digitale con la crescita e lo sviluppo del concetto di sneaker digitali e di NFT. Per adesso però, possiamo limitarci a decidere se tenere le nostre sneaker sporche o pulite.