La storia dietro la collaborazione fra Gucci e Hot Wheels
Un modello della Cadillac Seville firmata da Aldo Gucci nel '79 in occasione del centenario del brand
07 Ottobre 2021
Il 2021 è l’anno delle collaborazioni inattese: se fino a ieri era la collaborazione fra Balenciaga e I Simpson a far discutere; e se prima di questa era la collaborazione tra Fendi e Versace – la prossima sarà quella fra Gucci e Hot Wheels per la produzione in edizione limitata di un modellino della Cadillac Seville by Gucci nel 1979 in scala 1:64. La collaborazione è una prima volta per entrambi i brand: per Hot Wheels si tratta della prima partnership con un brand di moda, per Gucci invece è il primo collectible vero e proprio.
L’occasione del lancio è il centenario del brand, celebrato con la collezione Gucci 100 diretta da Alessandro Michele, che con le sue molte iniziative è diventata una sorta di grande macchina del tempo in cui il passato, il presente e il futuro del brand e del suo immaginario vengono riportati alla luce e fatti convivere. La protagonista della collezione è la Cadillac Seville by Gucci un’auto che Aldo Gucci, presidente del brand per 33 anni oltre che figlio del fondatore disegnò personalmente e racconta una storia e un’estetica di un’altra era, un viaggio nei ricordi degli Stati Uniti di fine anni ‘70.
Indietro nel tempo: storia di una collaborazione dimenticata
Se gli anni ‘40 erano stati dedicati all’espansione in Europa, sotto la guida di Aldo Gucci, a partire dal 1953 il brand aveva fatto degli Stati Uniti la sua seconda casa. All’epoca il mercato del lusso era diversissimo da quello di oggi: non esisteva la globalizzazione, il mercato asiatico non era ancora esploso come in questi anni e Gucci, dopo essere diventato popolare fra le star di Hollywood già negli anni ‘50, iniziava a espandere la sua reach anche al di fuori di New York e presso il pubblico americano più generale. Nel ‘68 era stato aperto il negozio di Beverly Hills mentre nel ‘72 il giovane rampollo della famiglia, Maurizio Gucci, aveva raggiunto suo zio Aldo a New York; e proprio a New York, sulla 5th Avenue, si erano aperti due dei negozi Gucci più importanti del mondo. Sempre il 1972 fu l’anno in cui Gucci iniziò a lavorare a nuovi esperimenti e produsse la sua prima auto con l’ormai scomparso brand AMC. American Motors Corporation (di cui AMC è l'acronimo) era stato infatti il primo brand a contattare stilisti di moda per firmare edizioni esclusive delle sue auto. Proprio nel ‘72 l’azienda strinse accordi con Levi’s, Pierre Cardin e Gucci per la produzione di designer cars. Il risultato fu la Hornet Gucci Edition, una station wagon con interni brandizzati che non lasciò soddisfatto Aldo Gucci il quale, appassionato di auto di lusso, guardava alla Hornet come un macchina da familiare, non un’icona del lusso a cui associare la doppia G.
Tuttavia la Hornet fu un punto di svolta nel rapporto tra moda e automotive, tanto da spingere la Lincoln, all’epoca considerato l’emblema del lusso americano, a produrre dal 1976 in avanti delle edizioni speciali della Lincoln Mark IV in collaborazione con Givenchy, Bill Blass, Cartier ed Emilio Pucci. Aldo Gucci propose di creare la Mark IV by Gucci ma la Lincoln declinò l’offerta per non usare un brand già associato ad AMC. Aldo Gucci allora decise di rivolgersi alla concorrenza, la General Motors, che tra i vari marchi possedeva anche Cadillac, icona del lusso e dell’estetica americana. La casa di Chicago però non aveva nessuna intenzione di produrre un modello appositamente per Gucci, e d’altronde il brand non aveva nessun genere di know-how nella costruzione di auto. Il compromesso fu trovato nel mezzo: Cadillac avrebbe messo a disposizione di Gucci una serie di Seville che sarebbero state customizzate con con dettagli del brand. Per questo motivo nel 1978 fu commercializzata la Seville by Gucci. Le auto venivano acquistate dalla fabbrica di Cadillac, portate a Miami attraverso un concessionario e da lì all’officina I.A.D., un terzo partner specializzato dell’automotive design, che sostituiva tutto il branding originale con i simboli di Gucci - incluse decorazioni in oro 24 carati e inserti con il pattern della doppia G sia all’interno che all’esterno dell’auto. La collaborazione continuò poi per gli anni successivi, adottando anche il modello aggiornato di Seville introdotto da Cadillac dal 1980 e fermandosi poi nel 1984.
Dal punto di vista commerciale l’operazione non fu particolarmente rilevante tanto che la partnership non fu rinnovata e in generale il mercato delle auto statunitensi mollò le collaborazioni con i brand di moda nella seconda metà degli anni ‘80. Quello che però fu rilevante è l’influenza estetica che ebbe l’operazione che - forse all’epoca non pienamente consciamente - mischiava i codici dell’automotive americano con quelli del lusso europeo, la stessa operazione che operò Dapper Dan nella sua bottega di Harlem applicando i loghi del lusso alla moda hip hop newyorchese.
L’importanza della Cadillac Seville by Gucci
Discutendo della campagna Gucci 100, Alessandro Michele ha paragonato il brand a un eterno teenager capace di reinventarsi ed evolversi sempre coi tempi. Parole che non sono una convenzione da press release ma che effettivamente descrivono e sintetizzano l’heritage di un brand che fin dal suo inizio come bottega di selleria e valigeria ha preso alla lettera il concetto di “espansione” non solo allargando il proprio business, ma uscendo dai propri confini e trasformando il marchio Gucci in un valore assoluto che andava al di là del prodotto e poteva essere applicato a ogni prodotto. Questo si tradusse già negli anni ‘70 in una grande importanza del logo - che Aldo Gucci disegnò personalmente e scoprì di poter applicare a un enorme numero di prodotti i quali andarono arricchendo il multiverso del brand fino a renderlo una potenza commerciale mondiale. La Cadillac Seville by Gucci fu uno dei precursori di questa tendenza che già dagli anni ‘60 aveva trovato espressione con iniziative come la Gucci Galleria, una V.I.P. Lounge nei negozi di Beverly Hills e New York dove i prodotti di alta gamma del brand erano esposti insieme a opere d’arte, gemme, preziosi oggetti d’antiquariato - una brand experience ante litteram.
Esiste un parallelismo tra la nostra epoca e il Gucci di Michele, con la fine degli anni ‘70 e il Gucci di Aldo. Pur con le loro differenze storiche, in entrambi i momenti storici l’azienda era al suo apice, la sua diffusione mondiale estesissima e il suo stile massimalista come non era mai stato. In entrambe le epoche, poi, si sperimentava con nuovi retail concept, collaborazioni all’avanguardia e soprattutto con la potenza dei loghi. Tutto un tipo di estetica che non solo riemerge nelle citazioni all’archivio che ricorrono molto tanto nelle collezioni di Michele quanto in progetti come il recente Gucci Vault - ma che saranno destinati a tornare alla ribalta quando House of Gucci arriverà al cinema, portando sullo schermo la storia vera della famiglia dietro il brand ma anche tutti i suoi pezzi d’archivio.
E se negli anni ‘70 era una Cadillac a dover diventare espressione di distinzione e lusso, oggi è un collectible. Secondo un report di Deloitte: «I collectible [...] non servono solo da forma alternativa di investimento ma sono anche asset tangibili che offrono soddisfazione e piacere a chi li possiede». Il collectible è dunque una sorta di materializzazione del brand value che può essere posseduta, esposta, collezionata e dunque elevata a sistema - ma che, come molte collaborazioni moderne, deve anche non essere scontata, trovare nella sua unicità uno spunto di valore ulteriore. E qui entra in gioco Hot Wheels, un brand sicuramente nostalgico per moltissimi dei clienti di Gucci, ma anche un brand che è riuscito a bilanciare in oltre 50 anni di vita la sua vocazione originale con la capacità di attrarre veri brand di automobili che gli forniscono i blueprint originali delle auto per realizzare i suoi celebri modellini. Questa collaborazione dunque si situa al crocevia di diverse direttrici dell’industria del lusso e della cultura come le conosciamo: la nostalgia e celebrazione del passato e l’amore dell’archivio da un lato; la potenza del logo e della realness dei brand coinvolti dall’altro; ma anche il valore della cross-settorialità nel sorprendere il consumatore finale (chi avrebbe mai detto che Hot Wheels avrebbe collaborato con Gucci?) per cui l’acquisto non si limiterà a possedere un modellino di auto ma a vivere un’intera esperienza culturale quando si sa di possederlo.