Anche il CEO di Gucci investe nel mercato del resell
Insieme a GOAT e alla famiglia Pinault, Marco Bizzarri è tra i nuovi finanziatori di Grailed
17 Settembre 2021
Grailed, una delle principali app di resell di moda second-hand, ha appena ricevuto un finanziamento di 60 milioni di dollari guidato dal GOAT Group, gruppo proprietario dell’eponima app e del retailer Fight Club, insieme al Gruppo Artemis, la holding company della famiglia Pinault, e a Marco Bizzarri, CEO di Gucci. Questo è il secondo grande investimento nel resell del Gruppo Artemis dopo quello allo stesso GOAT Group dello scorso gennaio. Adesso Grailed, che conta già 7 milioni di utenti globali e più di 10.000 brand sulla sua piattaforma, userà i nuovi finanziamenti per rendere più efficienti i servizi di autenticazione e di pagamento, ma anche per spingere sulle categorie del merchandise e della content strategy, inclusa quella editoriale.
Che cosa significa questo investimento?
In primo luogo, che due delle principali piattaforme di resell oggi presenti sul mercato sono adesso legate fra loro, facendo pensare a un progressivo processo di consolidamento dei singoli marchi/aziende in gruppi più grandi per affrontare le sfide del mercato. Se così fosse, il mondo del resell starebbe iniziando a comportarsi come il mercato del lusso primario, che dopo la pandemia ha visto una corsa verso acquisizioni e accorpamenti vari, specialmente in Italia, e ha dato adito a ipotesi circa l’imminente nascita di un nuovo fashion group. Il che ci porta al secondo e più importante punto: l’interesse dei grandi protagonisti del mercato del lusso, in questo caso i Pinault e il CEO di uno dei brand di moda più importanti del mondo, nei confronti del mercato del resell e del secondhand è reale e sta crescendo insieme al mercato stesso.
Secondo dati di ThredUp riportati da The Fashion Law, infatti, il mercato di secondhand fashion raggiungerà un giro di affari di 80 miliardi di dollari entro il 2029 – e i prodotti di moda pre-owned sono già uno dei principali entry point verso l’acquisto di beni di lusso per le nuove generazioni, specialmente la Gen Z che può così essere fidelizzata fin da subito. Controllare il secondhand, inoltre, consentirebbe ai brand di controllare la vita dei propri prodotti dopo la loro vendita, abbattendo contemporaneamente la barriera del prezzo, che è a oggi il principale ostacolo all’accesso del mercato del lusso per milioni di potenziali clienti, e dunque permettendo ai brand di espandere la loro base di consumatori (anche se per vie indirette) senza per questo pregiudicare la propria esclusività con l’odiata scontistica e, soprattutto, mantenendo un controllo abbastanza rigido sul tracciamento del prodotto e combattendo il counterfeiting.
Un mercato in forte espansione
Nel corso della pandemia, la spinta verso la digitalizzazione ha spinto numerosi brand e retailer di lusso a investire nel pre-owned. Già Farfetch, Neiman Marcus, Selfridges e Galerie Lafayette hanno avviato i propri programmi di buy-back e circular fashion – fungendo sostanzialmente da boutique vintage di lusso. Ma anche brand come Alexander McQueen e Gucci hanno avviato partnership rispettivamente con Vestiaire Collective e TheRealReal, mentre Etsy ha acquistato Depop per 1,6 miliardi di dollari solo quattro mesi fa e Kering, lo scorso marzo, ha investito 216 milioni di dollari sempre in Vestiaire Collective. Anche LVMH ha iniziato a sperimentare con il resell tramite la piattaforma Nona Source, ma concentrandosi più sulla vendita dei materiali deadstock dei vari brand del gruppo. Oltre a una crescita galoppante, che secondo il Boston Consulting Group si svilupperà nei termini del 15-20% ogni anno per i prossimi cinque anni, il secondhand è stato anche accettato culturalmente e non è più solo una maniera di acquistare prodotti di moda a buon prezzo.
L’ascesa della moda d’archivio e le preoccupazioni crescenti sulla sostenibilità e la necessità di rallentare i consumi hanno fatto di resell e secondhand una forma di consumo responsabile oltre che a rendere certi item preziosi come oggetti d’arte, creando un’intera cultura di connoisseurs-archivisti che pagano migliaia di euro per mettere le mani su un pezzo vintage di Raf Simons, di Margiela o di Dior Homme e trasformando dunque il vintage in una sorta di collezionismo. Il secondhand è visto anche come una reazione all'hype e come fonte di scoperta di stili vecchi e nuovi che diano ai consumatori modo di esprimersi in maniera unica. Secondo Vogue Business, infatti, il 50% dei consumatori intervistati da Bain si rivolgono a piattaforme come Grailed per trovare pezzi unici. Il CEO di Grailed, Aron Gupta, ha detto:
«Se vuoi l'ultima maglia Supreme o l'ultimo paio di sneaker, come le Yeezys o le Jordan, vai su GOAT e le compri. Ma se vuoi esprimere uno stile unico e individuale per te che ti fa sentire meglio con te stesso... A quello serve Grailed».