Supreme: da Tyler, The Creator a Barbara D’Urso il passo è breve
Due apparizioni televisive a distanza di 10 anni che raccontano il potere della TV e la parabola del brand
31 Maggio 2021
Era il 2011, quando Tyler, The Creator, si presentò sul palco del Nokia Theatre di Los Angeles per ritirare il premio come “Best New Artist” agli MTV Music Video Awards. L’outifit di Tyler fece più rumore del premio: jeans neri, t-shirt oversize tie-dye e cap con la visiera leopardata e il boxlogo Supreme. Quando gli chiesero il significato di quel capello, Tyler che indossava Supreme normalmente rispose: "È un piccolo club, una società segreta."
Era un altro mondo: prima dell’esplosione di Instagram, dell’hype e dello streetwear, Supreme non era ancora scoppiato come fenomeno globale, ma aveva già fatto il salto dallo skate al mondo della musica e dell’arte, riuscendo comunque a rimanere nell’underground dello show business. Chi indossava Supreme si riconosceva parte della stessa storia degli skater: real recognizes real.
Fast-forward di dieci anni, Barbara D’Urso - regina insieme a Maria De Filippi della tv generalista italiana - si presenta su canale 5 domenica scorsa per l’ultima puntata della stagione di Domenica Live indossando un tailleur nero, il cui taglio della giacca lascia intravedere una boxlogo con lo sfondo del cenacolo di Leonardo. Si tratta ovviamente dell’ultima boxlogo per l’apertura dello store di Corso Garibaldi 35 a Milano, il tutto rimarcato da uno dei magistrali post sul suo profilo Instagram da boomer che sa come sfruttare gli altri boomer sui social (guardate l'hashtag e capite di cosa sto parlando).
Tralasciando per un momento l’ironia del fatto che la D’Urso - che recita il rosario in diretta nazionale insieme a Salvini - indossi una maglietta con la stampa del cenacolo, la correlazione tra due fatti così lontani nel tempo e nello spazio raccontano cosa e come è cambiato Supreme e soprattutto quanto il ruolo della televisione, spesso un po’ oscurata dalle analisi con oggetto i social, sia ancora fondamentale per la diffusione della moda.
Quello che fece Tyler salendo sul palco all’inizio della sua carriere con il cap Supreme fu la chiave - insieme a tante altre “apparizioni” del brand - per far conoscere il boxlogo ad un pubblico che magari aveva già visto quel logo da qualche parte ma che non aveva idea dei significati dietro e che soprattutto moriva dalla voglia di entrare nella “secret society” di cui parlava Tyler. Il risultato fu l’esplosione dell’hype di Supreme su una certa fascia di pubblico molto giovane che avrebbe trainato l’esplosione dello streetwear e un più generale cambiamento culturale tra il mondo della moda e quello dell’intrattenimento.
Barbara D’Urso non è Tyler e Supreme oggi è un brand molto diverso dal 2011, nonostante prodotti e store siano rimasti più o meno gli stessi. L’operazione della D’Urso è marketing brillante a livello personale perché sfrutta esattamente quel If you know, you know che ha guidato l’esplosione del marchio. Il risultato è che chi conosce Supreme e lo vede addosso a Barbara D’Urso probabilmente sorride a mezza bocca, visto che probabilmente ha già abbandonato da tempo la boxlogo nell’armadio, chi invece non conosce Supreme ma potrebbe averlo visto - che più probabilmente era un legit fake di Supreme Italia - oggi, grazie a Barbara D’Urso sa di cosa di parla. Proprio tra le pieghe di questa ignoranza causata dall’ermetismo del brand di New York è nato Supreme Italia, che è stata poi condannata proprio per la pratica scorretta e ingannevole nei confronti dei consumatori.
Questi due episodi - nonostante la distanza di 10 anni - ricordano quanto il peso della televisione nella cultura contemporanea sia ancora rilevante, in un momento in cui i social si stanno rattrappendo sempre di più in grandi bolle dove è difficile intercettare pubblici diversi e a causa del quale in molti vengono esclusi da aggiornamenti e mode culturali contribuendo a costruire un muro di incomunicabilità tra generazioni e classi sociali diverse. Per quanto un’analisi superficiale possa addossare delle colpe a Barbara D’Urso - come un attentato al brand, invece si tratta di un’operazione quasi divulgativa che permette di conoscere un fenomeno culturale rilevante come Supreme.