Pregi e difetti delle linee secondarie dei brand di moda
Linee che espandono l'identità di un brand o che la diluiscono?
27 Maggio 2021
È esistita un’epoca in cui nel sottobosco dell’industria della moda le cosiddette diffusion lines o linee alternative proliferavano come felci. Il motivo era semplice: i brand avevano bisogno di accedere a una audience più ampia e, per non contaminare l’esclusività delle linee principali, crearono una serie di sub-brand dedicati a fasce di prezzo alternative. Con il tempo il fenomeno ha avuto un’evoluzione molto varia, in un panorama ricco di esperimenti più o meno riusciti. Da un lato, la recente interruzione di REDValentino, ma anche la decisione di unificare tutte le label di Trussardi con il cambio di direttori creativi, avvenuto anche con Versace tre anni fa, è un esempio di come, in seguito al lockdown, molte aziende (inclusi i mega-conglomerati come LVMH) abbiano deciso di ridurre all’osso le proprie operazioni; dall’altro lato però le diffusion line funzionanti non mancano: Emporio Armani sta rapidamente muovendosi verso un nuovo e più alto posizionamento, sulla scorta di Miu Miu “sorella” di Prada ma da sempre dotato della sua indipendenza; designer come Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto hanno creato intere galassie di label alternative mentre linee come MM6 Maison Margiela e Rick Owens DRKSHDW continuano ad avere successo e a reggersi sulle proprie gambe e si dice che Vetements, per affrontare la propria vita post-Demna, stia progettando un rebranding che potrebbe risolversi nell’apertura di una diffusion line.
Quando le diffusion line non funzionano
La storia della moda è letteralmente lastricata di diffusion lines defunte: D&G, chiusa nel 2011; Marc by Marc Jacobs, interrotta nel 2015; Burberry Prorsum, Brit e London chiuse nello stesso anno; Versus riassorbita da Versace Jeans nel 2018; Raf by Raf Simons congelata nel 2009. Tutte queste linee sono state interrotte per motivi diversi. In tutti questi casi, le diffusion line presentarono diversi ordini di problemi: in primo luogo queste avevano iniziato a diluire l’identità e l’esclusività del brand, diventando pallide copie della mainline che non erano in grado di esistere in modo indipendente e popolavano molti grandi magazzini; in secondo luogo, le diffusion lines avevano strutture e team diversi da quelli della main line ed erano arrivate a costituire una zavorra e dunque divenne preferibile integrare tutte le operazioni espandendo le fasce di prezzo; in terzo e ultimo luogo, il boom del fast fashion, dello streetwear e dei cosiddetti brand high street, che offrivano prodotti di qualità, senza branding “secondari” e a prezzi concorrenziali resero obsolete le diffusion lines. Inoltre il mercato divenne più evoluto e presentò migliori opzioni per i designer: la prima e più importante furono le collaborazioni, assorbite dal contatto della moda con lo streetwear e che permisero ai designer di portare il loro nome a più ampie audience; la seconda è stata l’ascesa del mercato secondario della moda, con app come Grailed e Vestiaire Collective, che hanno permesso a fasce di pubblico dal potere di acquisto inferiore di acquistare prodotti delle mainline senza il “compromesso” costituito dalla sub-label.
Le label che hanno avuto successo
Molte altre diffusion line e linee secondarie hanno avuto successo, e questo perché sono riuscite a evitare le insidie in cui invece è caduta la concorrenza. Il caso più emblematico, citato sopra, è quello di DRKSHDW, linea che nasce con il compito di tradurre i capi più avant-garde di Rick Owens in item adatti a ogni giorno, e che non solo viene disegnata dallo stesso team e prodotta nelle stesse fabbriche della mainline, ma che funge anche come un “repertorio” per gli item più famosi disegnati da Owens, come ad esempio le sneaker, che vengono tradotte in senso commerciale ad esempio con materiali più correnti e meno esplicitamente lussuosi.
Un altro esempio virtuoso è invece quello di Prada che ha deciso di posizionare le proprie label Miu Miu e Prada Linea Rossa a fianco della mainline e non al di sotto di essa: se Miu Miu è da sempre e a tutti gli effetti un brand a sé stante, con il suo posto nel calendario delle sfilate e le sue boutique; Prada Linea Rossa ha invece avuto un revamp nel 2018 che l’ha resa un’estensione della mainline più che una label ad essa subordinata. Lo stesso si può dire per MM6 Maison Margiela, linea evolutasi all’interno dell’ecosistema del brand “madre”, come anche See by Chloé, mentre PLAY Comme des Garçons è riuscita a stabilirsi come membro della famiglia CdG dedicandosi quasi esclusivamente a basics decorati da un semplice e riconoscibilissimo logo. In Italia, il caso più eclatante di diffusion line di successo lo troviamo nell’universo di Giorgio Armani, che ha consolidato Emporio Armani negli anni portandolo ad avere i propri show e che invece offre abiti più commerciali tramite Armani Exchange.
Identità alternative
Le due ragioni di sopravvivenza di una diffusion line, dunque, possono essere sommariamente considerate o l’allineamento perfetto con l’identità di una mainline; oppure la capacità di diventare un’identità alternativa del brand – un tipo di identità, dunque, che non ne rappresenta una versione separata o diluita. Lydia King, una buyer di Selfridges, spiegò a Bussiness of Fashion la formula del successo delle diffusion lines:
«Se un diffusion brand non ha integrità e la collezione è solo una maniera per battere cassa, i consumatori se ne accorgono. […] Per essere una diffusion line di successo ed evitare la confusione, bisogna rispettare tutti i parametri: integrità del design, estetica dei prodotti diversificate e prezzi diversi».
Allo stesso tempo lo scenario della moda contemporanea è molto diverso da quello del 2014, epoca in cui Lydia King parlava. Grazie al boom dello streetwear avvenuto intorno al 2016, il mercato della moda si è riempito di label molto varie fra loro, provenienti da tutto il mondo, che giocano sul senso di esclusività derivante dal possedere e apprezzare prodotti pensati per un pubblico di nicchia. Inoltre il consolidamento degli heritage brand nell’ambito di gruppi industriali come Kering e LVMH ha portato i maggiori brand di lusso a concentrare la propria produzione in una sola mainline. Non a caso, fra i brand che fanno parte dei due mega-gruppi francesi soltanto Alexander McQueen e Marc Jacobs hanno diffusion lines, rispettivamente MCQ e The Marc Jacobs e Heaven, con prezzi e prodotti diversi dalla mainline; mentre Loewe ha una collezione parallela alla mainline dedicata alla sostenibilità che, pur essendo formalmente separata, è un’estensione dalla collezione principale. Tutti gli altri, come Gucci, Balenciaga, Saint Laurent, Celine, Louis Vuitton e via dicendo, hanno scelto un modello di crescita unitario - e ora anche Valentino è fra loro.