Chi fa una collezione per l’Earth Day, non ha capito molto dell’Earth Day
Quale modo migliore di salvare il pianeta se non inondare il mercato di nuovi prodotti?
22 Aprile 2021
Quando l’Earth Day venne inaugurato ufficialmente, nel 1970, i suoi valori erano quelli dell’informazione e della protesta. Meno di un anno prima, nel gennaio del ’69, un devastante disastro petrolifero aveva semi-distrutto la costa californiana di Santa Barbara e il 22 aprile del ’70 oltre venti milioni di americani si riversarono per le strade di tutte le città del paese dando vita alla singola, più grande protesta che si fosse mai tenuta nella storia umana nel corso di un giorno. Persino Richard Nixon piantò un albero sul prato della Casa Bianca. Oggi, a cinque decenni di distanza, il significato dell’Earth Day è rimasto chiaro per tutti anche se la ricorrenza è diventata, per alcuni brand di moda, l’occasione di riversare sul mercato una valanga di nuovi prodotti sostenibili per fare gonfiare le vendite cavalcando la wave della sostenibilità. C’è solo un problema: produrre nuova merce (ancorché in modo sostenibile) va esattamente contro i principi dell’Earth Day. Se davvero le corporations non volessero sprecare risorse, semplicemente non produrrebbero nulla.
Secondo una recente infografica pubblicata dal Parlamento Europeo, infatti, non solo la produzione di abiti e scarpe è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas serra ma l’87% dei nostri abiti finiscono ancora in inceneritori e discariche. È vero che le cose stanno cambiando: secondo il report annuale di Fashion Revolution, ad esempio, le aziende “virtuose” sono in aumento capeggiate dal H&M Group, da Gucci e dal resto delle aziende Kering e anche da altri nomi del lusso come Ermenegildo Zegna ed Hermès. Ovviamente il report non fa riferimento alla miriade di altre aziende attive nel campo dell’abbigliamento ma è chiaro che se l’industria generale della moda ha un problema con l’ambiente, questo problema è dovuto alla cultura del consumismo che dunque, proprio in occasione dell’Earth Day, non andrebbe alimentata con nuova merce ma addirittura evitata (anche solo simbolicamente per un giorno) sfruttando l’occasione per educare i consumatori e le aziende a un mindset più sostenibile. Non è solo la produzione degli abiti a inquinare, fra le altre cose, ma anche il loro trasporto, il loro packaging, le spedizioni e, in breve, la loro stessa esistenza: come la country coordinator di Fashion Revolution per l’Italia, Marina Spadafora, diceva a nss magazine lo scorso settembre, «il capo di abbigliamento più sostenibile è quello che è già appeso nel nostro armadio».
Come si diceva prima, la cosa migliore che qualunque brand (grande o piccolo) potrebbe fare in occasione di questo giorno potrebbe essere, nello spirito originale dell’Earth Day, educare i suoi consumatori verso pratiche di consumo più sostenibili, ma anche fare il punto sugli sforzi fatti per garantire la sostenibilità della propria produzione. Parlare apertamente ai propri clienti di come funziona la propria supply chain invece che pubblicare i dati in un report asettico che leggeranno solo pochissimi esperti del settore sarebbe un’idea originale per aumentare la consapevolezza del pubblico; smaltire gli invenduti attraverso partnership con i canali di resell ufficiali come TheRealReal o Vestiaire Collective o attraverso collaborazioni ad hoc con brand indipendenti specializzati in upcycling di lusso come Bode, Ahluwalia Studio e Bethany Williams potrebbe invece essere un’alternativa creativa alla tanto temuta scontisca per i brand di lusso.
Forse i brand più attenti in questo senso sono Patagonia e The North Face - entrambi da sempre impegnati nel settore della sostenibilità. Un ottimo esempio di iniziativa sostenibile lanciata in occasione dell’Earth Day è il programma Exploration Without Compromise di The North Face. Si tratterà di un’iniziativa programmatica volta a usare il 100% di materiali riciclati nei prodotti di punta del brand nei prossimi quattro anni, che sarà accompagnata al lancio di una piattaforma di re-commerce di nome The North Face Renewed sulla quale gli oltre 6,8 loyalty memebers del brand potranno scambiare i propri abiti usati con gift cards. L’iniziativa ha già aperto la strada a una linea di prodotti ricondizionati composti da un minimo del 75% di materiali riciclati e, come riporta WWD, già nell’autunno dell’anno prossimo dovrebbe vedere la luce la prima linea di prodotti completamente circolari con il badge che reca il nome dell’iniziativa che segnalerà ai clienti quali sono i prodotti più sostenibili delle nuove linee.