Anatomia del rosso: dall'alta moda alle nuove subculture
Come il colore più opulento del lusso è diventato il simbolo dell'hype
29 Marzo 2021
Esiste un termine caro alla psicologia e all’etologia di nome red-dress effect. Il termine designa l’insieme di fenomeni neuro-biologici che scaturiscono, fra gli animali, dalla vista del colore rosso: ci sono animali che si sono evoluti per rendere rossa la loro pelle o il proprio piumaggio nella stagione degli amori, alcuni fiori sono rossi per attirare il numero maggiore di api e uccelli - e anche fra gli esseri umani il rosso è il colore della passione e del pericolo, oltre che il primo colore che il nostro cervello e i nostri occhi sono programmati per registrare. Chiaramente la forza psicologica di questo colore è diventata evidente in tutte le fasi della storia umana: tanto i patrizi romani che i nobili dell’antico impero cinese vestivano di rosso o lo utilizzavano nel decoro della propria casa; più in avanti il rosso divenne il colore dei diavoli, della passione e anche delle rivoluzioni. E già il nome di red-dress effect crea dei naturali parallelismi con la moda: dal rosso Cardinale di Balenciaga a quello di Valentino fino alle prime Nike Air Ship di Michael Jordan e alle subculture street rappresentate da Supreme, ma passando anche attraverso le nozioni del marketing classico - per cui il rosso rappresenta gioventù e dinamismo, ed è diventato il simbolo di Coca Cola, di Marlboro ma anche di Nintendo, Canon e LEGO, oltre che di Netflix.
Il rosso nell’alta moda
All’inizio della moda come la conosciamo (e per molti anni a venire) il rosso è stato simbolo di lusso e opulenza, in una concezione molto tradizionale che vedeva nel colore i connotati della regalità ma anche della passione. Una storia del rosso del mondo della moda moderna dovrebbe dunque iniziare, idealmente, dal leggendario Cristobàl Balenciaga che s’ispirò ai cardinali dipinti da Velazquez e Goya per alcuni dei suoi design più famosi - design che nel 2019 divennero protagonisti di una mostra a Madrid che li affiancava ai dipinti che li avevano ispirati. Ancora oggi, fra l’altro, molti degli item rossi prodotti dal brand sono in Cardinal Red: già dal nome evocano un aristocratico senso di opulenza e importanza. Non si trattò però solo degli antichi quadri: Balenciaga si ispirò anche alle ballerine di flamenco e la loro gonna bata de cola e al bolero dei toreri - tutti design creati dopo il 1949, cioè in pieno franchismo, che rievocavano la nostalgia dell’antica tradizione spagnola.
Molto simile a Balenciaga per l’uso del rosso nel mondo couture è poi Valentino Garavani, che fondò il suo brand nel 1957, ossia circa un decennio prima del ritiro di Balenciaga dalle scene. Se Balenciaga aveva recuperato l’uso del rosso dagli abiti dei cardinali, dei toreri e dalle ballerine della sua nativa Spagna, anche Valentino ebbe l’idea di fare del rosso la sua firma stilistica in quel paese: secondo un noto aneddoto, il giovane sarebbe stato ispirato dall’abito di una donna vista all’opera di Barcellona. Staccandosi dall’eredità pittorico-religiosa di Balenciaga, il rosso Valentino divenne veramente “imperiale”, simbolo di altissimo lusso e anticonformismo: la sfumatura che prende il nome dallo stilista sta a metà strada tra il carminio, il cadmio e il porpora.
Il rosso nello streetwear
Ma il rosso non è solo sinonimo di lusso: fra i suoi tanti significati c’è anche l’azione, il dinamismo, la vitalità. Con questi significati il rosso divenne prima uno dei colori preferiti del marketing, contrassegnando una serie enorme di prodotti iconici come Coca-Cola, Marlboro, Nintendo e, recentemente, anche di Netflix, e infine uno dei colori dello streetwear e delle subculture giovanili: alla fine degli anni ‘50 James Dean indossava un’iconica harrington jacket rossa in Gioventù Bruciata e alla fine dei ‘60 il rosso fu il colore della contestazione giovanile. Ma se oggi il rosso è così popolare lo dobbiamo a Michael Jordan che, nella partita contro i Knicks del 19 ottobre 1984, indossò un paio di Nike Air Ship nella colorway Black/Red coordinata, ovviamente, con l’uniforme rossa dei Chicago Bulls suscitando il ban del commissioner dell’NBA David Stern - episodio che diede alla colorway il nome di “Banned”. Venne comminata una multa di 5000$ a Jordan per ciascuna partita in cui le indossava: lui continuò a indossarle e Nike pagò ogni multa. Nike scelse di far indossare a Jordan le Air Ship fino all'aprile '85 nella colorway White/Red per via della regola "uniformity of uniform" e sfruttò la questione "Banned" per costruirci forse la campagna pubblicitaria più accattivante di sempre. Le Air Ship erano estremamente simili alle future Air Jordan 1 - fu dalla loro silhouette che il designer Peter Moore realizzò le prime Air Jordan.
Se da un lato la lunga mitologia di Michael Jordan e delle Air Jordan si legava trionfalmente al colore rosso - ci fu un altro brand che, a partire dal 1989, fece del rosso uno dei colori preferiti dal mondo streetwear: Cross Colours LA. Fondato in California da Carl Jones, il brand era nato cavalcando l’hip-hop craze di quegli anni ed era il primo che si rivolgeva direttamente alle giovani generazioni African-american (oltre che essere uno dei più importanti black-owned brand di quegli anni). I colori di Cross Colours LA volevano sottolineare l’heritage africano e per questo utilizzava, nella sua palette di colori, il rosso insieme al verde, al giallo e al nero. Il brand divenne immediatamente celebre, grazie alle sue campagne dinamiche (una delle più iconiche vede protagonista un giovanissimo Djimon Hounsou) e all’endorsement della prima wave di artisti hip-hop: Snoop Dogg, Diddy e Queen Latifah su tutti. Gran parte dell'estetica classica legata al mondo hip-hop e la subcultura ad esso legata venne per la prima volta rappresentata con pienezza dal brand - la ragione del cui successo risede proprio nella capacità di dare una voce alle giovanissime e nuove wave giovanili dell'epoca.
Dall’altro lato dell’America, nel frattempo, un giovane ango-americano di nome James Jebbia coltivava la passione dello skate, lavorando in negozi come Parachute e Union NYC e collaborando con Shawn Stussy. Nel 1994 Jebbia aprì in Lafayette Street il primo leggendario store di Supreme: rosso era il colore del suo logo. La scelta di questo colore non fu casuale e fa tornare in gioco il ruolo del rosso come colore della contestazione e delle rivoluzioni. Per il logo di Supreme, infatti, Jebbia s’ispirò alle opere dell’artista Barbara Kruger che utilizzava il font bianco Futura Bold Oblique stampato in riquadri rossi per imitare la grafica tanto gli slogan femministi di fine anni ‘60 che alle pubblicità di quell’epoca, dominate da grafiche rosse per attirare l’attenzione dei consumatori. Nel ’94, invece, l’artista Shepard Fairey firmò la versione definitiva del suo sticker virale che riproduceva le fattezze di Andre The Giant circondato da una cornice rossa – quello sticker divenne poi la base del logo di Obey. Da quel momento in avanti il rosso divenne il colore audace e dinamico dei movimenti giovanili, raccogliendo l'eredità eversiva del '68, e traducendola sul piano dell'espressione personale.
Da Supreme a Ibiza
Da quel punto in avanti il rosso della box logo di Supreme, insieme al rosso delle Air Jordan 1 divennero sinonimi della cultura street americana che poi si estese a tutto il mondo, sostituendo il mito aristocratico del rosso di Valentino con il proprio, più democratico. Lo stesso Shepar Fairey sfruttò il potere del rosso in una serie di altre opere iconiche: il logo di Mozilla nel 1998 e il poster Hope di Obama nel 2008 e il murale di Nelson Mandela nel 2014. Ma il rosso proseguì la sua ascesa prima con la leggendaria Nike Air Yeezy 2 Red October, presentata nel febbraio del 2014, e poi diventando il colore di punta dell’iconica collezione Louis Vuitton x Supreme nel 2017.
Ultima incarnazione del rosso, simbolico ponte fra la musica, moda, il lifestyle e il jet-set, è il Circoloco, la serie di eventi che anima il giorno e le notti di Ibiza e fondò il mito della nightlife sull’isola a partire dal 1999 e usò il rosso nel suo logo. Questi eventi, che poi divennero itineranti per tutto il mondo, lanciarono un enorme numero di DJ e artisti musicali come Ricardo Villalobos, Peggy Gou Seth Troxler Luciano Rampa &Me, Loco Dice ed Ellen Allien coinvolgendo creativi come Maurizio Cattelan, lo studio Toilet Paper e designer come Riccardo Tisci e Virgil Abloh (che aprì anche l’evento di Milano quando l'evento arrivò in città). Circoloco, il suo founder Antonio Carbonaro e Andrea Pelino crearono l’odierno concetto di clubbing in quell’epoca e lanciarono un brand che per primo fu in grado di mescolare in modo del tutto pionieristico il lifestyle, la creatività e la moda grazie a No Soul For Sale, una linea di abbigliamento e accessori che fece proprio del colore del rosso del Circoloco il primo e più importante elemento di riconoscimento.