Come vanno le cose per Dolce & Gabbana?
Il punto della situazione su uno dei casi più complessi della moda recente
02 Aprile 2021
Dolce & Gabbana è un brand divisivo, senza dubbio, ma che per decenni ha fatto parte dell’immaginario italiano e internazionale. Nella percezione pubblica, la loro storia è chiaramente divisa, nel novembre 2018, da un drammatico spartiacque: il video promozionale per la titanica sfilata, poi annullata, che avrebbe dovuto inaugurare il loro ingresso glorioso sul mercato cinese. Le cose sono andate diversamente: il video suscitò l’indignazione di mezzo mondo, un allora neonato Diet Prada si scagliò contro i due designer con inaudita violenza e il business cinese del brand andò in full crash-and-burn mode. Il mondo della moda, drammatico per definizione, fece presto a dichiarare il brand morto e sepolto – ma forse il giudizio è stato troppo affrettato: anche se è vero che il China-gate ha rappresentato una svolta critica per il brand, è anche vero che non si è trattato di un headshot fatale. Come ha fatto Dolce & Gabbana a riprendersi?
Dopo il China-gate
In realtà, pur avendo subito un duro colpo non solo dai clienti ma anche dai retailer del lusso online, già alla fine dell’anno fiscale 2019, conclusosi nel marzo di due anni fa, le revenue totali del brand erano aumentate del 5%, metà delle quali provenivano da vendite dirette negli shop e negli outlet. Nel frattempo celebrity come Katy Perry, Will Smith, Kim Kardashian, Michael Shannon ed Emilia Clarke erano tornate a indossare il brand mentre nel giugno del 2019 la gran sacerdotessa della moda del The New York Times, Vanessa Friedman, ne annunciava la resurrezione. Secondo il report di Lyst dell’epoca, poi, dopo essere caduto al 21° posto fra i brand più ricercati, Dolce & Gabbana era già tornato al 15° nel primo trimestre del 2019 quindi appena dopo lo scandalo. All’inizio del 2020, poi, con l’arrivo di Lucio Di Rosa nel ruolo di Head Of Worldwide Celebrities & Vip Relations ha segnato un cambio di marcia, con il ritorno dei loro abiti sui red carpet arrivando anche indosso a Kate Middleton e alla chiacchieratissima Melania Trump, donna baluardo dell’unwoke luxury. Lo star power è qualcosa di fondamentale per un brand che è sempre buono quanto lo è la sua clientela: l’ultima celebrity nella lista è Deva Cassel, nuovo volto della linea di profumi di Dolce & Gabbana e figlia di Vincent Cassel e Monica Bellucci. Infine, lo scorso febbraio è giunto l'annuncio che un gruppo aveva proposto ai due founder di vendere il brand miliardario, proposta che è stata rifiutata ma che segnala lo stato di salute del brand: sono le aziende floride ad attirare compratori, non quelle in crisi.
Due assi nella manica
Il brand si è dimostrato estremamente resistente nonostante le controversie che lo hanno circondato, anche grazie a due assi nella manica: il primo è la linea Alta Sartoria/Alta Moda (rispettivamente per uomo e donna) che ha resistito bene agli scossoni dell’opinione pubblica grazie a una clientela fedele e affezionata, il secondo (e meno ovvio) è il loro successo nei circoli della moda d’archivio, che invece hanno mantenuto viva la memoria del brand fra gli appassionati dei design più rari ed eclettici. Entrambi questi “assi nella manica” hanno a che fare con la qualità dell’offerta: di recente, parlando della crescita di interesse verso la couture per uomini, un articolo di WWD ha sottolineato come la clientela dell’Alta Sartoria di Dolce & Gabbana sia equamente divisa fra uomini e donne, professionisti dalle forti disponibilità economiche che amano non solo gli elaborati abiti su ordinazione del brand ma anche le sue faraoniche sfilate (l’ultima fu in Piazza della Signoria a Firenze) accompagnate da cene lussuose e divertissement vari che rendono i clienti del brand parte di sfarzosi spettacoli che vanno ben al di là del semplice fashion show. Lo stesso sviluppo della linea Alta Gioielleria dimostra che la clientela più esclusiva di Dolce & Gabbana si rivolge ai designer per prodotti made-to-order riguardanti tutti gli aspetti del lifestyle come elaboratissimi orologi o collier.
Per quanto riguarda la moda d’archivio, invece, ad avere successo sono per lo più pantaloni e bomber militari risalenti agli anni ’90 e ai primi 2000 – tutti prodotti che, a partire da showroom specializzati come Silver League hanno invece sedotto una clientela diversa, più underground e con meno potere di acquisto ma con una maggiore cultura di design. Questa clientela del mercato second-hand non contribuisce direttamente al giro d’affari del brand (che comunque non ha problemi con il concetto di scontistica e outlet) ma lo aiuta, in maniera del tutto immateriale, a essere percepito come parte del gotha della moda d’archivio ricordando a tutti gli appassionati che, prima dei giganteschi loghi, dei colori gridati e caotici e dei nerboruti marcantoni in mutande, Dolce & Gabbana avevano un linguaggio e immaginario di design più dettagliato e preciso che immediatamente commerciale (emerso, per altro, nella collezione FW20 che è stata forse il loro migliore prêt-à-porter negli ultimi dieci anni) che li aveva resi i protagonisti di quella moda milanese anni '90 di cui la compianta Franca Sozzani era la regina.
Un successo che non si ferma
Infine si riduce tutto alla domanda: “Cosa serve a un brand per avere successo?” Nel mondo del lusso la varietà degli esempi sfida le previsioni e la percezione che esiste di un brand è completamente diversa a seconda della personale sfera di influenze di ciascuno. In particolare, Dolce & Gabbana è rimasto negli anni forse l’unico brand di moda italiano a organizzare collezioni di alta moda iper-spettacolari che, anche sul piano locale, coinvolgevano città intere diventando veri e propri eventi collettivi nello stesso stile in cui, negli anni ’90, le sfilate di Alta Moda Roma si svolgevano sulle scale di Trinità de’ Monti coinvolgendo enormi masse di pubblico. Qualcosa che, prima del lockdown, avveniva con le sfilate Resort e Pre-Fall di moltissimi brand che però non riuscivano a uscire dai propri circoli tutto sommato chiusi per diventare un vero fenomeno popolare. Dolce & Gabbana è stato anche fra i primi a invitare nel 2009 i primissimi fashion blogger nel front row e, nel 2015, a inserire fra gli invitati proto-influencer come Cameron Dallas, impiegare modelle plus-size ma anche a usare lo star power di Monica Bellucci e Isabella Rossellini nei propri show.
Dolce & Gabbana, come brand, ha resistito per l’intrinseca qualità della sua offerta che si muove su tutto lo spettro del consumo e prescinde dalla qualità dell'estetica: i collezionisti amano il loro vintage, il pubblico generalista il prêt-à-porter che è tutto pop e logomaniaco mentre la clientela abbiente e fidelizzata ricerca da loro un tipo di lusso tradizionale legato allo status symbol e a una certa vistosità declinata in progetti ambiziosi che esulano dall’ambito dei soli abiti ma rappresentano comunque un livello di artigianato e personalizzazione ai massimi livelli offerti dall'industria della moda. Ecco cosa hanno detto i designer in una recente intervista a WWD riguardante il successo dei servizi di atelier per il pubblico maschile:
Abbiamo un atteggiamento critico nei confronti della sartoria su misura perché pensiamo che spesso porti a un prodotto ben fatto, ma comunque industrializzato. Alta Sartoria è un progetto molto diverso che si basa sul rapporto, sul dialogo tra il cliente e il nostro team – dall'atelier, al sarto. È una connessione intima, quasi una confessione, attraverso la quale conosciamo il cliente e il suo mondo.
E adesso?
La controversa saga iniziata col China-gate, però, non si è ancora conclusa. Secondo Julianna Law di Jing Daily, il recente spostamento della boutique del brand fuori dal Chengdu International Finance Square, uno dei principali centri urbani e commerciali della Cina Occidentale, lascerebbe presumere una ritirata strategica dovuta all'indebolimento delle vendite nel paese. Mentre la fama del brand si scontra col nazionalismo dei consumatori cinesi in Asia, dall'altro lato del mondo Dolce & Gabbana ha denunciato Tony Liu e Lindsey Schuyler di Diet Prada per diffamazione per 600 milioni di dollari - sicuramente una cifra simbolica che verrà ridotta, ma che ha il potenziale, nel caso i due designer vincano, di colpire e affondare Diet Prada per sempre. Vale la pena notare che la causa legale non è stata intentata a Diet Prada ma ai suoi due fondatori - un tipo di attacco legale senza dubbio più personale e diretto e che, per citare sempre Jing Daily, «dipinge l'immagine di un brand aggressivo».
Va comunque detto che la percezione che si ha di un brand varia di paese in paese: se in Cina e nel mondo dei fashion activist Dolce & Gabbana è un villain, in Europa e in America il peso della controversia del China-gate non si è fatto sentire affatto, le sfilate dei due sono ancora un evento e i loro giganteschi cartelloni pubblicitari tappezzano ancora stazioni ferroviarie e aeroporti di Milano e di mezza Italia. Il caso di Dolce & Gabbana, in ultima analisi, rimane forse il più complesso ed emblematico della storia della moda nell'epoca dei social media e della post-verità.