Come è andata la Milan Fashion Week Women’s FW21
Tiriamo le somme della settimana appena trascorsa
02 Marzo 2021
L’edizione della Milan Fashion Week Women’s FW21 appena conclusasi è stata, nonostante la forzata continuazione del format digitale, un momento di forte ripresa per la moda milanese che, dopo una fashion week maschile priva di grande mordente, ha ricominciato a dividere, appassionare e far discutere – tutti inequivocabili segnali di vita per un’industria creativa che non può permettersi di tergiversare. La mancanza di alcuni dei brand più illustri e famosi, su tutti Gucci, Bottega Veneta e Versace, ha lasciato spazio nel calendario anche a show meno vistosi ma non per questo meno meritevoli d’attenzione. L’attenzione del pubblico è stata catalizzata da momenti come il debutto di Kim Jones nel prêt-à-porter di Fendi, la seconda collezione femminile di Raf e Miuccia e il raffinato show di Valentino al Piccolo Teatro di Milano ma non sono mancati ottimi debutti, presentazioni digitali innovative e svolte tanto impreviste quanto sorprendenti.
I big player
Se da Prada il dialogo fra i due co-direttori creativi è proseguito, trovando maggiore equilibrio e riconfermando la coerenza estetica della collezione maschile presentata a gennaio con quella femminile, rimane pur vero che a Raf Simons non farebbe male assimilare la garbata e coltissima eccentricità e il senso di calore umano che si sprigiona da tutte le collezioni di Miuccia – anche se come pubblico dovremmo far bene a ricordare che le case di moda cambiano, Raf Simons non è arrivato da Prada per emulare nessuno ma per proseguire un discorso avviato quarant’anni fa da Miuccia con la propria voce. Quasi specularmente, il calore umano è stato un po’ il valore fondante intorno al quale Kim Jones a strutturato la sua prima collezione di Fendi che però, nonostante la magnificenza matriarcale che ha tentato di evocare, non si è sospinto troppo al di là con il design, producendo una collezione che ha decisamente un aura luxury ma che rimane anche molto convenzionale. Per dare un giudizio sul lavoro di Jones bisognerà ancora attendere un po': per ogni designer, anche il più affermato, la prima collezione di un nuovo brand è sempre difficile e ne servono due o tre per trovare l'armonia fra il proprio linguaggio personale e l'immaginario legato a una maison affermata da decenni.
Benissimo invece Pierpaolo Piccioli da Valentino, che ha dimostrato un rigore estetico lodevole con una collezione dalla palette limitatissima e decorata da pattern reticolati declinati in ogni possibile versione. La cornice del video, ossia il Piccolo Teatro di Milano, ha anche aggiunto una sfumatura piacevolmente territoriale al lavoro di Piccioli, che di stagione in stagione va raffinandosi sempre meglio. Anche la collezione di Sunnei è stato un highlight positivo – con il linguaggio di design di Loris Messina e Simone Rizzo che va evolvendosi di collezione in collezione in maniera sempre controllatissima, leggera e priva di sbavature. Anche Marni ha fatto centro con una presentazione divisa per pasti (colazione, pranzo e cena) è andata in scena la stralunata bellezza delle creazioni di Francesco Risso, che alla seconda collezione creata sotto lockdown, ha dato il meglio di sé sia stravolgendo l’apparenza di oggetti comuni, sia mescolando una sottile e intelligente ironia con il suo mood più sovversivo. La sua vena creativa, tuttavia, è così vulcanica che avrebbe bisogno di un freno di tanto in tanto, o di un editing, che gli dia rigore e disciplina.
I tre macro-trend
Varie macro-correnti si sono invece stabilite nel resto delle collezioni. Una è borghese e altolocata, con le donne-dandy di Tod’s, le amazzoni da country club di Elisabetta Franchi (reminiscente di certe atmosfere à-la-Chanel), i pizzi spregiudicati di Ermanno Scervino, l’eleganza classica ma modernissima di Max Mara e un Giorgio Armani che non sarà frizzante ma almeno è più rilassato. Una seconda macro-corrente, simile alla prima, è notturna, un po’ gotica e vampiresca, seguita ad esempio da Alberta Ferretti e da Grazia Malagoli di Sportmax, ma anche dalle femmes fatales di Alessandro Dell'Acqua di N°21 e dalle teatrali bellezze aliene dell’esordiente Del Core. Infine, un’altra macroarea è giovanile e discotecara: ci sono il mondo pop di MSGM e la ballroom tra il punk e post-bourgeois di MM6 Maison Margiela, ci sono i remix dell’estetica academia di Philosophy di Lorenzo Serafini e il revival anni ’80 di Missoni e l’eclettismo caleidoscopico di Etro, c’è la consueta orgia di colori e sbrilluccichii di Dolce & Gabbana, c’è anche la svolta cyberpunk di Salvatore Ferragamo (una delle sorprese più piacevoli della stagione), l’allegria di Moschino, che una volta tanto è stato divertente e misurato anche se sempre sulla soglia dell’eccesso, e il nostalgia trip verso i primi anni 2000 di Blumarine, forse una delle collezioni più divisive di questa edizione ma comunque dal forte carattere e dalla ispirazione ben chiara e precisa.
In generale, comunque, questa edizione della Milan Fashion Week Women’s ha rivelato che, lockdown o meno, le energie creative di Milano non sono disposte a soccombere, anzi, sono forse più gagliarde di prima. È forse il format digitale che merita una riflessione di chiusura: negli ultimi show, la sfilata virtuale si è rivelata essere un mezzo molto espressivo e aperto a contaminazioni creative di ogni sorta, allo stesso tempo l’equilibrio perfetto fra collezioni vere e proprie e lo storytelling delle stesse non è stato ancora raggiunto. Il format digitale, però, ha dato a tutti i membri della stampa di osservare le collezioni femminili a proprio agio, riuscendo ad apprezzare anche quelle di brand esordienti o meno hype senza il solito caos che, nella frenesia delle presentazioni, spesso finisce per far emergere solo quelli show di alto profilo che pochi player sulla scena milanese possono permettersi.