Che fine ha fatto Geox, il brand della "scarpa che respira"
Dopo anni di forte successo, si prospetta un 2021 complicato per il marchio italiano che ha segnato un'epoca
04 Febbraio 2021
Leggenda vuole che Mario Moretti Polegato fosse impegnato in un'escursione nel deserto del Nevada quando gli venne l'idea per una scarpa "che respira". L'imprenditore veneto, che si trovava negli Stati Uniti per un viaggio di lavoro - all'epoca per l'azienda vinicola di famiglia - stava infatti facendo una passeggiata sotto un sole cocente: come trovare un po' di refrigerio, soprattutto con quelle scarpe che non gli facevano respirare il piede? L'idea fu una e semplice, Polegato prese un coltellino svizzero e fece dei buchi nella suola di gomma delle scarpe che portava. Il sollievo fu immediato. Polegato capì presto di aver avuto un'intuizione geniale e, una volta tornato in Italia, abbandonò il business di famiglia per mettersi alla ricerca di investitori e brand a cui vendere il progetto.
Venticinque anni dopo, oltre ad essere stato uno dei primi e meglio riusciti incontri tra estetica e innovazione per un brand italiano, Geox è stato più di tutto un fenomeno di costume, come accaduto spesso ad altri marchi nostrani. Non tanto perché identificava particolari gruppi sociali o sottoculture - anche se chi portava le scarpe del brand era annoverato in quel cerchio magico che apprezzava anche scarpe Hogan, giacche Herno, e pashmine voluminose - piazzandosi in una fascia di pubblico (e di prezzo) intermedia, non propriamente luxury, ma nemmeno cheap. Più di tutto, la narrazione e in particolare la pubblicità che accompagnò il brand, specialmente nei primi anni, fu impareggiabile. Tant'è che più o meno tutti in Italia, oggi come allora, hanno scolpito nella memoria lo slogan del brand. "Respira", "La scarpa che respira", stampato a carattere cubitali su cartelloni pubblicitari in ogni città d'Italia, ma anche ripetuto in televisione ad ogni stacco pubblicitario.
L'innovazione storica introdotta da Polegato fu la suola in gomma realizzata in una speciale membrana permeabile al vapore - quindi al sudore - ma impermeabile all'acqua, ispirata ad un prodotto creato dalla Nasa. Il successo di Polegato non fu però immediato. Dopo tre anni passati proponendo la sua idea a decine di aziende di calzature, l'imprenditore decise di brevettare la "suola che respira" e di iniziare un'attività in proprio, supportato da cinque ingegneri di Treviso e in collaborazione con l'Università di Padova. Il nome del brand fu coniato da Polegato, geo, terra in greco, a cui aggiunse una 'x' finale come simbolo di innovazione e avanguardia. La prima scarpa del brand uscì nel 1995, e faceva parte di una collezione rivolta ai bambini. Il successo fu immediato e immenso, ben sopra le aspettative di Polegato stesso. Alle calzature da bambino seguirono quelle da uomo, da donna, e l'abbigliamento.
Ci fu un momento in cui Geox era ovunque, in televisione, per strada, (fu persino sponsor della Formula 1 per tre anni), e soprattutto ai piedi delle persone, grazie alla varietà di modelli, di stili e di prezzi che proponeva. Una diffusione capillare sia a livello geografico, con una rete immensa di store e di rivenditori, che estetico, andando a dominare l'immaginario italiano, proponendo uno stile sobrio, classico, con un twist nuovo. Nel giro di poco più di vent'anni Geox divenne la prima azienda in Italia nel settore della calzatura casual e la terza a livello mondiale con 30mila dipendenti e 1150 negozi in 114 paesi.
Il segreto del successo di Geox - se ne esiste uno - è proprio il tipo di offerta che proponeva: scarpe casual ma allo stesso tempo eleganti, realizzate in materiali premium e con una tecnologia che nessun altro brand del settore poteva vantare. La realtà di Polegato rappresentava un unicuum nel panorama italiano, grazie ad un approccio verso il settore e un uso della tecnologia che mancava in Italia e che lo avvicinava invece ai brand leader del mercato. Ad oggi l'azienda conta circa sessanta brevetti, di cui venti utilizzati in fase di progettazione e produzione.
Complice una certa stagnazione creativa e il progressivo calo di interesse verso il brand, negli ultimi anni Geox non ha registrato lo stesso successo che poteva vantare a pochi anni dal suo debutto, una situazione aggravata ulteriormente dall'anno pandemico appena trascorso. Tra il 2017 e il 2018 al vertice di Geox si avvicendano tre diversi amministratori delegati (mentre Polegato resta azionista di maggioranza e presidente del brand), il sintomo di una situazione complicata, come raccontano anche gli ultimi dati diffusi dal brand. Geox ha chiuso il 2020 con ricavi in calo a 534,9 milioni di euro, in seguito ai mesi di chiusura e ad una nuova strategia di vendita. Il brand ha infatti in programma la chiusura definitiva di 110 store nel periodo 2021-23. Tra questi spicca la chiusura del flagship store milanese in via Torino. Nella geografia del brand l'Italia rappresenta il 23,4% dei ricavi, dati supportati soprattutto dall'online, che ha registrato un +79% nei ricavi. In generale Geox ha riportato risultati negativi su tutti i mercati ad eccezione della Cina, dove le vendite nei negozi diretti sono passate dal -50% del primo trimestre al +4% nel quarto trimestre, e della Russia, cresciuta del 5% negli ultimi tre mesi 2020. Come già dimostrato dal caso Topshop e dalla bancarotta di diversi storici department store americani, un modello di business basato sulla presenza fisica e quindi su un network di store sparsi in tutto il mondo è uscito profondamente indebolito dalla pandemia.
Oltre a puntare ad un modello di business più fluido e orientato verso il digitale, snellendo di parecchio la rete di store fisici, questo potrebbe essere il momento giusto per Geox per puntare ad un rinnovamento anche estetico, cogliendo le esigenze e i desideri di un mercato ormai saturo di sneaker, che si sta spostando verso un formal wear di qualità. Un formal wear che respira, forse.