Il caso di GameStop può verificarsi anche con i brand di moda?
Come il crowdfunding ricorda le origini dei grandi streetwear brand
29 Gennaio 2021
Secondo la classifica Global 500 stilata da Brand Finance, compilata analizzando il valore distintivo e l’associazione alle proprietà intellettuali di marketing di 5000 aziende in tutto il mondo, l’industria del lusso avrebbe perso complessivamente valore nel 2020 e nella Top 100 dei brand di maggior valore al mondo, la moda non figura, con Gucci scivolato dal 98esimo al 117esimo posto e Louis Vuitton dal 109esimo al 123esimo. Complessivamente si è insomma verificata una leggera flessione, nulla di catastrofico in sé, ma che porta a riflettere su cosa accadrebbe se uno di questi grandi brand dovesse ritrovarsi in difficoltà finanziarie. Il caso recente di GameStop, il cui valore aziendale è schizzato verso l’alto dopo un’azione in massa coordinata su Reddit, lascia intendere che, in un futuro, anche i brand di moda potrebbero ricorrere al crowdfunding per ribaltare le proprie sorti - con una sorta di approccio comunitario 2.0 che ricorda per molti versi le origini di Supreme.
Questa ipotesi, che per i grandi nomi della moda sembra molto lontana, si sta però verificando in questo momento: questa settimana il valore azionario dell’azienda Naked Brand Group Ltd. è raddoppiato grazie a una simile azione coordinata e il retailer Express Inc. ha visto le proprie quotazioni volare. Questi due casi appena citati sono in realtà esempio di mosse coreografate e mirate a società in perdita, ma effettivamente richiamano l’atteggiamento comunitario e anti-establishment che nel passato ha portato numerosi brand di streetwear a diffondere la propria fama e prosperare commercialmente anche senza i finanziamenti di grandi gruppi industriali. In altre parole, l’approccio comunitario del crowdfunding, specialmente se spinto da motivazioni emotive, può tradursi in una risorsa per brand in difficoltà - il caso di GameStop è stato infatti legato anche al fattore nostalgico: i micro-investitori che hanno gonfiato il prezzo delle sue azioni, infatti, erano probabilmente gli stessi che, cinque o dieci anni fa, si recavano lì per acquistare o scambiare giochi.
Se questa logica non potrebbe però applicarsi ai grandi brand del lusso, che a differenza di tutte le altre aziende sono costrette a seguire le logiche dell’esclusività e del prestigio, in questo tipo di crowdfunding potrebbe nascondersi il futuro dello streetwear indipendente. I grandi miti dello streetwear, come Stüssy e Supreme, sono arrivati alla fama anche grazie al supporto di community culturali sempre più ampie, diventando poi mainstream. Ma non è detto che, anche se sotto forme diverse, questo tipo di supporto non possa diventare la sfida definitiva a un establishment, come quello della moda, che ormai è diventato troppo ufficiale e chiuso in se stesso; oltre che l’antidoto a un’estetica streetwear sempre più formulare e ripetitiva, in quanto interamente commerciale e in realtà priva di una autentica community che ne costituisca lo zoccolo duro.