Tre domande sulla scomparsa dai social di Bottega Veneta
Come il passo indietro del brand potrebbe aver cambiato le regole del gioco
07 Gennaio 2021
Lo scorso 4 gennaio, con una mossa che ha lasciato del tutto basito il mondo della moda, Bottega Veneta ha rimosso e cancellato tutti i suoi account social, rinunciando a un seguito complessivo di oltre quattro milioni di follower. Nei giorni successivi sono apparsi poi annunci di lavoro per la posizione di Global Content Editor e Global Communication Strategic Planner del brand – annunci che indicano chiaramente come sia in atto un rimescolamento fra i manager della comunicazione del brand. A prescindere dall’accaduto, la sparizione di Bottega Veneta dai social ha sollevato una serie di domande sul rapporto fra social media e brand di moda che potrebbero riassumersi nel quesito: «Può un grande brand di moda fare a meno di un account Instagram?» La risposta sembra essere, per ora e alla quasi unanimità, «No». Prendendo ad esempio un brand come Gucci, uno dei più ricercati al mondo secondo Lyst, il successo di un brand potrebbe essere equiparato alla sua pervasività nella sfera digitale. Eppure all’interno di quella risposta si nascondono sfumature e retroscena che, pur non risolvendo la questione, la rendono più sfumata e complessa. Ad ogni modo, la mossa di Bottega Veneta sembrerebbe aver funzionato sul momento, avendo attirato su di sè numerose attenzioni. Restano comunque da valutare i risultati (anche finanziari) sul lungo periodo.
Secondo alcuni rumors raccolti da nss magazine, questa potrebbe essere stata una scelta di Daniel Lee che avrebbe deciso di adottare una “linea dura” nei confronti delle social media strategies tradizionali, coerentemente alla nuova scelta adottata per le sfilate. Dopo tutto l’ultimo show del brand si è tenuto a porte chiuse per un limitatissimo conclave di super-star e l’esistenza dello show stesso è stata tenuta segreta per quasi due mesi. Nel mondo della moda non erano mancati, fino a oggi, i designer che, per scelta personale, decidevano di non coltivare i propri social media (Hedi Slimane, Phoebe Philo e Jil Sander su tutti, ma anche lo stesso Daniel Lee) – ma finora la mancanza di un brand dal mondo digitale è qualcosa di completamente inaudito. Tutto lo straordinario successo di cui Bottega Veneta ha goduto da qualche anno a questa parte, poi, è stato sicuramente dovuto anche a Instagram, con la marea di influencer, capeggiata da Laura Nycole e dalla sua pagina-cult @newbottega, che ha reso popolare le scarpe e le borse dell’era di Daniel Lee.
Quanto costa gestire un profilo IG per un brand di moda?
Che i social media costituiscano una spesa altissima di numerosi brand di moda non è affatto un mistero. Se però, agli inizi del lockdown, era stata denunciata la frenesia produttiva dei reparti di design, poco o nulla è stato detto contro quel tritacarne di trend che è Instagram - habitat digitale fra i più caotici che esistano ma anche fra i più cruciali per i brand di moda. Allo stesso tempo, un’analisi di qualche tempo fa di Business of Fashion ha fatto emergere come a causa dei profili fake, della compravendita di follower e di altre forme di influencer fraud, i brand di moda avessero perso 1,3 miliardi nel 2019 che avrebbero potuto diventare 1,5 miliardi nel 2020. Il professore dell’Università di Baltimora che ha condotto lo studio, Roberto Cavazos, si è inoltre detto convinto del fatto «che il 50% dei livelli di engagement di tutti i contenuti sponsorizzati sia in realtà falso».
Ma è verosimile che un brand come Bottega Veneta rinunci del tutto ai social?
Secondo le categorie tradizionali, il prestigio di un brand riposa quasi interamente sulla sua community online, in una sorta di effetto gravitazionale in base al quale più la massa dei like, dei tag e dell’engagement aumenta, più la “forza gravitazionale” di un brand cresce. Ma questo sistema non è privo di contraddizioni: in primo luogo, verrebbe da dire che il following che un brand ha su Instagram è in larga parte aspirazionale, sarebbe a dire che solo una piccola percentuale dei 2,5 milioni di follower di Bottega Veneta su Instagram erano effettivi acquirenti di quei prodotti. A quel punto, dunque, una campagna di sponsorizzazione social mirata a raggiungere milioni di utenti social interessati solo a mettere like a una foto o repostarla, serve poco agli obiettivi commerciali che si prefigge il brand. Esempio aureo di questa situazione è Hermès, maison a cui nemmeno il Covid-19 ha fatto conoscere crisi, e che notoriamente non ha un vero e proprio dipartimento di marketing.
Altro dettaglio da valutare sono gli hashtag, o in altri termini la community del brand che resta online anche se il brand in se stesso rinuncia a Instagram. Una pagina come @newbottega conta da sola 358.000 follower senza essere un account ufficiale e l’hashtag #bottegaveneta conta più di 1,9 milioni di menzioni. In pratica, sarà la stessa fanbase del brand a gestire lo storytelling del marchio in maniera organica - un processo che potrebbe alleggerire di molto quel complesso e pesante macchinario che è un brand di lusso. Un caso che già si verifica (in maniera decisamente più estrema) con un designer di nicchia come Carol Christian Poell, il quale non organizza show nè possiede niente di lontanamente simile a un account di social media, ma ha comunque un vastissimo seguito di pagine d’archivio su Instagram.
Sarebbe dunque impossibile escludere che Daniel Lee e le menti dietro il moderno fenomeno di Bottega Veneta abbiano deciso di incamminarsi verso la stessa strada seguita da Hermès, decidendo di rivolgersi a un circolo di clientela così ristretto da poter diventare, in futuro, una pseudo-società segreta.
Lo seguirà qualcuno?
Considerato come ormai Instagram sia la soluzione go-to di qualunque brand (i grandi nomi della moda lo usano, ma anche i minuscoli brand sconosciuti che nascono e muoiono ogni giorno online), l’idea di andare nella direzione opposta, sollevando un polverone, potrebbe non essere così contro-intuitiva come potrebbe apparire a occhio e croce. Risulterebbe difficile pensare che i grandi player della moda rinuncino ai propri social, ma, per esempio, un brand come Fendi, molto affine a Bottega Veneta per storia ed heritage, potrebbe forse guadagnare ritirandosi dalla scena social e diventando ancora più esclusivo; stesso discorso potrebbe essere fatto per Stone Island, che già non produce show nè campagne tradizionali, ma anche l’intera famiglia di Comme des Garçons, che potrebbe avvalersi, per la sola promozione, dell’infrastruttura mediatica di un retailer come Dover Street Market, e brand come Undercover, Yohji Yamamoto e Fragment, dotati di una community enorme.
Se le leggi del marketing ci hanno insegnato qualcosa è che, ogni volta che un mercato è ipersaturo, viene premiato il player che sceglie la strategia meno ovvia. Se quello di Bottega Veneta è il primo passo di una rivoluzione del marketing di moda, lo si vedrà solo in futuro.