Il ritorno di Valentino a Milano
Pierpaolo Piccioli e la ri-significazione dell'identità della maison
28 Settembre 2020
L’ultimo show di Valentino per la collezione SS21 del brand è stato eclatante su diversi livelli. Da un punto di vista puramente storico, ha rappresentato il grande ritorno in Italia di un brand che da lunghi anni ha deciso di sfilare a Parigi – un gesto di supporto al mondo della moda italiana che, quest’anno, ha dovuto fare i conti con non pochi sconvolgimenti dovuti alla pandemia e al lockdown. Da un punto di vista più profondo, invece, lo show è stato tanto uno statement dei nuovi valori etici ed estetici che Pierpaolo Piccioli ha impresso al suo brand, quanto uno show simbolico in cui l’art direction, la scenografia e i look hanno trovato una sintesi ideale e assai equilibrata – pur non uscendo mai dal solco tracciato per il brand da Piccioli negli ultimi anni. Questo cambiamento si è articolato su due punti fondamentali: il ritorno alla natura e la ri-significazione.
Il carattere romantico che spesso si attribuisce ai design di Piccioli è diventato, in questa stagione, un simbolo semplice ma denso del ritorno alla natura/normalità del post-lockdown. Il fascino che molti hanno provato, durante le fasi più acute della pandemia, nel vedere la natura riappropriarsi dei luoghi prima occupati dagli uomini sembra essersi infatti tradotto in duplice maniera. La prima, e più palese, è nel set design della sfilata, ambientata nelle Fonderie Macchi di Milano, metafora architettonica dell’attività umana, che sono state riempite di fiori dall’artista Satoshi Kawamoto – un tipo di decor che pur conservando tutta la finezza delle produzioni di alto livello a cui la fashion week ci ha abituato, non ha niente della loro invasività e rappresenta il concetto di natura come ritorno alla semplicità. In questo senso anche gli abiti hanno rappresentato un ritorno alla natura, sia tramite le ampie stampe floreali, sia grazie a una serie di silhouette fluide, morbide e perfettamente in equilibrio fra praticità e arte.
Quanto al concetto di “ri-significazione”, esso rappresenta sì un aggiornamento dei codici tradizionali della maison riletti da Piccioli nel corso della sua esperienza di creative director del brand, ma significa anche un ri-adattamento di quegli stessi codici a un nuovo ritmo e a un nuovo mondo. L’aspirazione di Piccioli era quella di rappresentare una generazione (non a caso la musica dello show è firmata da Labrinth, il cantate che ha firmato la colonna sonora di Euphoria) e i suoi modelli non sono professionali ma un cast di 66 persone comuni selezionate attraverso un processo durato due mesi. Una scelta che mostra la volontà di toccare «lo spirito individuale delle persone che [Valentino, ndr] veste».
Persone normali dunque diversi percorsi di vita, diverse emozioni e identità, oltre che diversi tipi di fragilità ed emotività – tutti tratti evocati da Piccioli in una serie di look eterei, in cui le bluse maschili sono fatte di chiffon, gli abiti diventano fluidi come quelli di un dipinto Liberty e i pizzi diventano macro come anche le borchie Rockstud. La “ri-significazione” ha toccato anche i jeans della collezione, prodotti in collaborazione con Levi’s, a cui è stato dato un update genderless a partire dal modello 517 del brand americano.
La volontà di dotare il brand di nuovi significati si muove dunque in sincronia con il desiderio di rappresentare più da vicino le identità singolari che Valentino può accomunare, così come la volontà di tendere un orecchio verso i cambiamenti del mondo – offrendo una semplicità, una serenità di giudizio e un tipo di emotività che, partendo dal nucleo stesso dell’identità del brand, si manifestano attraverso i suoi design e il suo intero mondo di riferimenti estetici.