Alla moda serviva un altro direttore creativo uomo?
Non è la competenza di Jones a essere in discussione, ma le promesse di diversity fatte da LVMH
11 Settembre 2020
Mercoledì scorso, Fendi ha annunciato ufficialmente che Kim Jones assumerà il ruolo di direttore artistico per le collezioni di womenswear, haute couture e pellicce della maison - un importante cambiamento all'interno del proprio management. Ciò significa che Kim Jones, che è anche il direttore artistico di Dior Homme, deterrà ruoli di primo piano sia in Dior e che in Fendi, mentre Silvia Venturini Fendi, che era la direttrice artistica ad interim del brand, tornerà al suo ruolo originario di menswear designer e accessories designer.
Sebbene questa sia una notizia molto importante per Fendi e il gruppo LVMH, è difficile non domandarsi se l'industria della moda avesse davvero bisogno di un altro creative director uomo, dato che è già sostanzialmente dominata da sole figure maschili: Nicholas Ghesquiere e Virgil Abloh disegnano Louis Vuitton, Demna Gvasalia dirige Balenciaga, Anthony Vaccarello è designer di Saint Laurent così come Alessandro Michele lo è di Gucci, Riccardo Tisci di Burberry e Hedi Slimane di Celine.
Dopo la morte di Karl Lagerfeld all'inizio dell’anno scorso, Silvia Venturini Fendi, che portava il nome del brand ma era una sorta di protegé dello stilista tedesco, era diventata la direttrice artistica di Fendi. Un passaggio di potere che ha avuto inizi non facilissimi: le prime due collezioni erano poco incisive, e nonostante un forte elemento di design si sentiva la mancanza della mano di Lagerfeld. Ma dopo queste due prime collezioni, Silvia Venturini Fendi ha creato alcune fra le migliori collezioni della scorsa stagione, con una sartoria straordinariamente dettagliata. Durante lo scorso show, poi, sono anche apparse alcune modelle plus size sulla passerella - un evento senza precedenti nella storia del brand. La parabola di Venturini Fendi stava procedendo nella direzione giusta, era una creative director donna che stava prosperando nel suo ruolo - motivo per cui il ridimensionamento di quello stesso ruolo è arrivato come una notizia un po' deludente da parte del gruppo LVMH.
La moda è un'industria sostenuta dalle donne ma gestita, creativamente e commercialmente, da uomini. Uno degli esempi più eclatanti è quello dei principali conglomerati dell'industria: LVMH e Kering. Combinati, i due gruppi possiedono diciannove case di moda di lusso ma soltanto tre creative directors donne. Si tratta di uno strano, complesso meccanismo che può essere spiegato con l'esistenza di una cultura sessista che domina l'industria. In uno studio condotto nel 2016 a New York, il Fashion Institute of Technology (FIT) ha rilevato che l'85% degli studenti che si sono iscritti alle scuole di moda sono donne, che è poi anche il caso di molte altre scuole di moda internazionali, ma per qualche motivo tutte queste donne finiscono per ritrovarsi escluse da posizioni di alto livello.
Secondo Business of Fashion, le donne rappresentano oltre il 70% della forza lavoro totale dell'industria, ma occupano meno del 25% delle posizioni di leadership nelle principali aziende di moda. Mentre si elencano questi dati, bisogna anche chiarire che a essere messo in discussione qui non è Kim Jones nè il suo lavoro, ma piuttosto il gruppo LVMH, che possiede Dior e Fendi, e sulle scelte compiute dal loro board che, stando alle loro stesse dichiarazioni, dovrebbe impegnarsi di più sul fronte della diversity nella propria azienda. Non c'è dubbio che Kim Jones sia un creativo brillante che avrà di certo successo nello svolgimento del proprio incarico in entrambi i brand: ciò che è discutibile è la decisione del conglomerato di sostituire una competente designer donna con un uomo che, fra le altre cose, aveva già un proprio ruolo e di non secondaria importanza.
Anche nel caso in cui fosse stata Silvia Venturini Fendi a decidere di dimettersi, sarebbe stato molto più interessante se LVMH avesse nominato l'ex-creative director di Celine Phoebe Philo o un'altra donna, considerata la loro promessa di diversificare il management delle proprie aziende. Nominare un direttore creativo di un luxury brand è come nominare un presidente o un vicepresidente e al giorno d'oggi, ci si aspetterebbe che opportunità di questo tipo siano aperte a tutti i tipi di persone, e anche se l'idea di vedere una collezione di Fendi disegnata da Jones entusiasma molti, sarebbe stato meglio se LVMH avesse osato di più con la propria scelta.