Come Helvetica è diventato il font della moda
Il typeface che ha omologato loghi e comunicazione di brand molto diversi
07 Settembre 2020
Accanto all'introduzione di elementi nuovi, come il zip-tie, e un lavoro più strutturale su alcuni dettagli delle silhouette, l'innovazione maggiore apportata da Virgil Abloh sulle sneaker della sua collaborazione con Nike è senza dubbio il lettering, la presenza costante di parole dove prima non erano mai apparse. Più che le parole stampate sulle scarpe della collezione The Ten - e quelle successive - conta come il messaggio viene veicolato a livello visivo, un elemento questo che è diventato il benchmark dell'immaginario di Abloh. Sia che si trovi compreso tra le ormai iconiche virgolette o che sia da solo, il font scelto (anche) da Virgil negli ultimi anni è diventato lo strumento per eccellenza per comunicare in modo diretto ed oggettivo idee innovative e progetti per il futuro.
Colpisce, però, che il font Helvetica non sia esattamente nuovo, ma che al contrario sia in circolazione dal 1957, quando fu inventato in una fonderia tipografica svizzera. Il nuovo carattere Neue Haas Grotesk si distinse fin da subito per la sua chiarezza, essenzialità e leggibilità, per quel suo modo semplice e diretto di comunicare, senza fronzoli e abbellimenti superflui. Si tratta di un carattere gotico sans serif, cioè senza grazie, senza tratti terminali, con tanto spazio negativo (bianco), mentre lo spazio negativo contenuto nella ‘a’ minuscola somiglia ad una lacrima. Qualche anno più tardi, nel 1961, questo carattere neutro venne ulteriormente valorizzato da Arthur Ritzel dell’azienda tedesca Stempel, a cui venne commissionato di ridisegnare e ampliare la serie di caratteri, dando così vita al font Helvetica, che fin dal nome rende omaggio al luogo in cui il typeface è nato. È grazie alla sua versatilità e alla sua semplicità che il carattere è diventato fin da subito popolare, font prediletto dal mondo della pubblicità, che lo utilizza per promuovere i prodotti più disparati, dalle auto Volkswagen alla Coca-Cola. Sebbene il suo aspetto "neutro", per certi versi non particolarmente incisivo, poteva rivelarsi un punto a suo sfavore, proprio questa sua capacità di adattarsi ad ambiti, industrie e messaggi diversi è ciò che ha fatto il successo di Helvetica.
Nel corso dei decenni sono moltissimi i brand che hanno deciso di adottare Helvetica per i loro loghi e per la loro comunicazione, da American Airlines a Lufthansa, da Jeep a BMW e Toyota, da Post-it a Panasonic, da Kartell a Knoll. La città di New York ha scelto Helvetica per le sue mappe, per la sua segnaletica e per la sua metropolitana, e fu proprio il MoMa di New York a dedicare alla storia del carattere una mostra in occasione del 50esimo anniversario della sua nascita, nel 2007. Helvetica è tuttora il font che utilizziamo per scrivere su Facebook e Instagram.
Il carattere entrò tuttavia nell'immaginario collettivo nel 1984, grazie ai primi computer Apple Macintosh. Era infatti questo il font che si trovava gratis e già installato sul computer, e così rimarrà fino al 2015. In quell'anno l'azienda di Cupertino introdusse il suo primo font originale disegnato in-house e denominato San Francisco, che in realtà non si allontana molto dall'aspetto del typeface originario. Il colosso del techwear aveva però bisogno di un font che si potesse leggere bene su schermi piccoli, come quelli dell'Apple Watch che era in procinto di lanciare.
È con l'obiettivo di adattarsi ad ogni schermo che lo scorso anno viene presentato Helvetica Now, l'evoluzione finale di un carattere storico.
Prima ancora del successo dirompente di Virgil Abloh, il mondo della moda si era accorto da parecchio delle potenzialità di Helvetica a livello di comunicazione. È da circa due anni che si sente parlare di blanding così come della perdita di identità dei loghi dei brand di moda, un fenomeno che interessa anche i loghi delle case automobilistiche.
All'inizio fu Saint Laurent, a cui seguirono a stretto giro Burberry, Balmain, Celine, Diane Von Furstenberg: il modo migliore per segnalare l'inizio di un nuovo corso - o l'insediamento di un nuovo direttore creativo - è cambiare il logo, rendendolo più pulito, più immediato, facile da ricordare e senza troppi fronzoli, di fatto trasformandolo in qualcosa di molto simile agli altri loghi già in circolazione. Per questo tipo di operazione non c'è font più usato di Helvetica, typeface da tempo adottato anche da The North Face, Fendi, A.P.C., Hood By Air, Fragment Design. Solo ad elencarli si intuisce come Helvetica sia diventato il comun denominatore di brand molto diversi fra loro, ognuno simbolo di un'estetica e di un immaginario differenti, tanto nel mondo streetwear quanto in quello del lusso. Il typeface è diventato così un contenitore vuoto, mezzo di comunicazione oggettivo, orfano di qualsiasi valore artistico, nascondendo poco o niente dietro quelle lettere così distanziate da loro. Paradossalmente il font che più di tutti non ha particolari segni distintivi è quello scelto per distinguersi, per segnalare un nuovo inizio, finendo così per creare un'omologazione di loghi e branding che non rispecchia la pluralità delle voci della moda. La tendenza è a semplificare, a togliere ogni tipo di stratificazione, per riuscire a parlare nel miglior (e più immediato) modo possibile con il consumatore finale, meglio ancora se appartenente alla Gen Z.
Lavora invece su un altro piano Virgil Abloh, che da Off-White porta avanti una riflessione sul linguaggio della moda attraverso concetti e idee espressi sempre in Helvetica. Il designer americano - che ha sublimato il potere della parola con le quotes - ha scelto il carattere proprio con l'obiettivo di raggiungere una comunicazione oggettiva, pulita, clean, inequivocabile, trasversale, in grado di attrarre un pubblico variegato.
Sorge tuttavia una domanda. Una volta segnalato l'inizio di una nuova era, questa omologazione non potrebbe diventare un pericolo, un'arma a doppio taglio? In un momento in cui comunicare la propria identità è fondamentale per la riuscita di un brand, a maggior ragione sui social, avere un logo diverso dagli altri non potrebbe essere un punto a proprio vantaggio? Occorrerebbe allontanarsi da un percorso tracciato e già di sicuro successo. Certo, occorrono anni prima di riuscire a far diventare un semplice colore il logo di un brand, ma siamo sicuri che Helvetica sia ancora il font migliore che esista?