Supreme sta tornando Supreme?
Dopo due stagioni deludenti e senza il meccanismo dell'hype, il brand newyorchese sembra tornato alle origini
27 Agosto 2020
Appena passato ferragosto, mentre in l’Italia tornava a preoccuparsi per l’aumento dei contagi e negli USA Trump dichiarava guerra a TikTok, Supreme ha pubblicato il lookbook della stagione FW20 - una collezione che ha raccolto giudizi molto positivi dagli insider della moda e dalle community web grazie alle sue divertenti collaborazioni e alla ricchezza di una proposta che include con un nuovo spin tutti gli staples del brand americano. Più che per i pezzi singoli, comunque, con la sua collezione FW20 il brand di James Jebbia sembra aver ritrovato quella confidence creativa che sembrava aver perso nelle ultime stagioni, criticate per la loro pigrizia stilistica e per la sensazione che il cult brand si fosse adagiato sui propri allori. Ma questa volta le cose sono andate diversamente: il primo drop del 20 agosto è stato letteralmente razziato in pochi minuti (anche se alcuni item rimangono ancora sul sito) e il secondo, previsto per l’ultimo weekend di agosto, è stato rimandato per smaltire le spedizioni del primo drop ed evitare ritardi a causa della pandemia.
In generale, la cosa più interessante è come l'aura che circonda il brand stia cambiando stagione dopo stagione: esauritasi la frenesia degli hypebeast di qualche anno fa, spinti ad acquistare acriticamente i prodotti del brand solo in virtù del suo essere in voga, senza più sold-out immediati causati da bot e sistemi automatizzati e con l'abbassamento dei prezzi di resell, Supreme sembra aver ritrovato la propria dimensione di brand di nicchia.
Perché questa collezione è diversa?
Osservando attentamente gli item presentati nella preview della collezione si ritrovano tutti i filoni creativi tipici di Supreme: collaborazioni ironiche, riferimenti culturali di nicchia ("if you know, you know"), grafiche audaci e re-interpretazioni di quell'estetica newyorchese che distingue l'anima stessa del brand. La hoodie con due boxlogo incrociati (già soprannominata cross-bogo su Internet) è, ad esempio, il classico troll di Supreme: un capo “edgy” che sembra quasi un fake ed è probabilmente ispirata alla Supreme March dell’anno scorso andata in scena a New York in cui era stata portata in processione una croce boxlogata. Non mancano però pezzi nello stile più classico di Supreme: i riferimenti alle opere di Kandinskij su una serie di t-shirt e fleece in color blocking e quelli all'arte surreale del Godfather of Japanese Erotica, Toshio Saeki, pittore, illustratore venuto a mancare a inizio anno, ricamati su una harrington jacket e una hoodie; le varsity jacket, le camice a scacchi e le shell jackets in puro stile Americana, oltre che una serie di camice, t-shirt e polo che sembrano uscite da un episodio de I Soprano; i richiami al mondo sportivo più tacky con le maglie da football e baseball decorate con grafiche cinesi - tutti item la cui iconografia afferisce alla New York della strada, ai suoi personaggi e ai suoi passatempi.
Sul versante delle collabo, invece, la collezione recupera quella wackiness che aveva definito i leggendari accessori e collectibles di Supreme nella sua età dell'oro. Se la sensazione recente era quella di un brand interessato soltanto a stampare il proprio logo su oggetti banali come cassette per attrezzi e misurini da cucina, il nuovo lookbook ha riservato qualche sorpresa. La prima è sicuramente il rossetto Supreme x Pat McGrath Labs, interessante ibrido fra streetwear e beauty industry, una collaborazione prestigiosa e significativa per entrambi i marchi coinvolti presentata con il tipico stile camp di Supreme. Tra le altre collabo - che ultimamente avevano entusiasmato molto poco come nel caso di Supreme x Lamborghini - spiccano anche nomi inattesi come I Puffi (che, a onor del vero, non sono stati la parte più amata della collezione, tanto da essere sopravvissuti alla prima razzia post-drop), il brand di orologi e gioielli Jacob & Co. che ha creato per Supreme una serie di orologi in acciaio a quattro fusi orari e un pendente con lucchetto, Mortal Kombat che ha invece creato un arcade, Colgate (sì, la marca di dentifricio), Kartell e persino un modello parlante di Chucky, la bambola assassina protagonista dell'omonimo horror franchise di culto Child's Play.
Ciò che è importante qui è vedere come Supreme abbia recuperato quel suo ruolo di archivio ufficioso di una cultura pop nostalgica, underground e un po' fringe che sta alla base della sua vocazione di brand cross-culturale - simbolico dell'anima stessa della sua nativa New York. La più moderna tendenza del brand a dialogare con il mondo del design di lusso rimarrà comunque all'interno dei piani futuri: secondo alcune indiscrezioni, infatti, tra le collaborazioni ancora non svelate di questa stagione ci sarà anche il leggendario designer giapponese Yohji Yamamoto - che non è solo un designer avant-garde la cui estetica gotica è amata da un ristretto numero di accoliti ma è anche uno dei pionieri delle collaborazioni fra luxury fashion e sportswear, avendo lanciato la sua linea Y-3 insieme ad adidas nel 2002.
Il futuro di Supreme
Il prossimo triennio sarà fondamentale per capire la nuova direzione e l'identità definitiva che Supreme intende assumere come brand. La sua missione è senza dubbio quella di trovare un equilibrio tra il successo commerciale e l’ethos culturale che ha contraddistinto il brand di Jebbia fin dai suoi umili inizi - quando era la Mecca della comunità skater newyorchese. Durante il lockdown, il brand ha mantenuto un atteggiamento in linea con suo spirito originario: non ha interrotto i drop, si è tenuto alla larga dal caotico polverone che è stata la conversazione sul futuro della moda e la fine dell’hype e ha giocato al suo gioco. Insomma il brand è rimasta fedele al proprio atteggiamento autarchico, nonostante le certezze su cui il meccanismo dell'hype e i cambiamenti culturali all'interno del mondo della moda apparissero sempre più irrimediabili.
Già poco prima dell’estate in molti erano pronti a scommettere sul declino del brand newyorchese quando sul sito erano comparsi articoli in saldo, cosa che non succedeva dal 2014. Molti indizi insomma suggerivano una crisi creativa e di immagine del brand che dopo essere stato acquistato nel 2017 per 500 milioni dal fondo Carlyle ed aver cavalcato l’onda dell’hype, faceva fatica a ritrovare sia un posizionamento coerente sul mercato del luxury streetwear che la sua anima onnivora e irriverente tipica di uno skate brand nato sulla strada. Adesso, però, Supreme sembra aver ripreso in mano il timone della propria creatività dopo stagioni passate in ostaggio del proprio stesso successo. Per dirla con le parole di Jebbia:“If people’s taste and style change radically, I’m not really sure. That would mean that we’re not evolving”.