La sfilata di Jacquemus fra i campi di grano
“L’Amour” è il nome scelto per la collezione SS21 del brand
17 Luglio 2020
Un cielo grigio di nuvole al tramonto, eppure luminoso. Una distesa senza fine di grano biondo che trema nel vento, solcato da una piattaforma di legno ondulata lunga seicento metri. Cento posti a sedere, ognuno incasellato fra le spighe alte quanto gli ospiti. Infine, una musica nostalgica di chitarra, a cui si aggiunge una voce di donna e che, infine, si trasforma in una leggera musica di pianoforte: Une Barque sur L'Ocean di Ravel. Nel frattempo, cinquantacinque look, maschili e femminili, sfilano davanti agli ospiti – hanno per lo più i colori della terra, ma non mancano il bianco e il nero, gli abiti rivelano e fasciano, i dettagli giocano le forme del corpo di modelli e modelle: è questo L’Amour secondo Jacquemus. Per la sua collezione SS21, Simon Porte Jacquemus non voleva ricorrere al digitale, come tanti altri hanno fatto – specialmente dato che il suo brand organizza solo due show l’anno. Parlando con Vogue il designer ha spiegato:
«Per me la passerella non può essere un video. È al centro di quello che facciamo, non è superficiale. Continuare è importante per tutti noi, come un ristorante che riapre. È come il filmato di un giorno d’estate. È la nostra vita».
L’idea principale per l’ennesimo spettacolare show del brand viene da una coreografia di Alexander Ekman per Sogno di una Notte di Mezza Estate e dal film serbo Il tempo dei gitani di Emir Kusturica: entrambi includono l’idea della cerimonia rustica, delle nozze fra i campi, della festa del raccolto. Lo show avrebbe potuto ricordare quello dell'anno scorso, ambientato fra i campi di lavanda della Provenza, ma anche se il concept generale poteva essere simile, i due show hanno avuto un'estetica alquanto diversa fra loro: faraonico e trionfale il primo, quieto e discreto il secondo. La musica, i pochi invitati che includevano per lo più la family & friends del brand, il concept della sfilata, fra matrimonio campestre e pic nic estivo fra amici, e la ristretta selezione dei look richiamano una dimensione intimistica e domestica, che deve aprirsi al mondo esterno dopo i lunghi mesi del lockdown:
«Con questa collezione più piccola […] portiamo i nostri mondi interiori all’aperto, interpretando le umili stoffe e gli oggetti con i quali viviamo e che possiedono la propria poesia. Dentro la casa, l’amore si rivela in piccoli momenti di meraviglia. […] La casa è un luogo di ispirazioni senza fine. Queste sono le impressioni che ho voluto ricreare oggi – pur rimanendo pienamente consci delle circostanze».
Sia il lato maschile che quello femminile della collezione sono caratterizzati da un certo laissez-faire: i blazer da uomo sono costruiti per sembrare abbottonati male, alcuni pantaloni danno l’illusione di avere la patta aperta, alcuni vestiti sono drappeggiati sulle modelle come un lenzuolo da letto. Ogni abito sembra essere stato indossato all’ultimo minuto per una festa in giardino dal mood rilassato. Se l’estetica dell’uomo Jacquemus è ben ferma e consolidata, quella femminile ha il range espressivo più ampio (oltre che più spazio sulla passerella). La donna Jacquemus sta a proprio agio col suo corpo, e gli abiti del brand creano per lei look che vanno dal professionale all’ammiccante senza perdere coerenza estetica nemmeno per un attimo.
Fra i tessuti con cut-out a forma di cuore, la trasformazione degli oggetti quotidiani in piccoli accessori e stampe (come la camicia che riproduce il fondale di una piscina, le ciliegie ricamate e le posate da tavola trasformate in piccoli oggetti di pelletteria) Jacquemus sembra aver preso ispirazione, per questa stagione, dallo stile di Margiela – ma senza lo sperimentalismo mind-bending del belga e con tutto il romanticismo, il candore e l’inventiva di un bambino che sta giocando. Con il merito aggiuntivo di essere stato in grado di reinterpretare secondo i propri canoni, e forse meglio di molti altri, il feeling della vita post-lockdown:
«La cosa più bella dell’amore è la sua capacità di durare, e a volte anche di crescere più forte, anche quando le persone non possono essere riunite insieme».