Il 25% dei negozi a Milano è a rischio chiusura
Secondo Confcommercio, il settore moda è il secondo più colpito dopo quello dei trasporti
13 Maggio 2020
La pandemia di coronavirus ha colpito il nord più duramente del previsto, cogliendo impreparate le sue istituzioni e gettando i settori commerciali e industriali nel caos. A essere particolarmente danneggiata è stata la città di Milano, epicentro europeo della pandemia, che da centro nevralgico dell’economia nazionale e finestra dell’Italia sul continente ha visto arrestata la propria ascesa che, iniziata con l’Expo 2015, avrebbe dovuto culminare con le Olimpiadi Invernali a Cortina nel 2026. Stando alle più recenti stime di Confcommercio, infatti, rese pubbliche di recente dal segretario generale Marco Barbieri, il 25% dei retail milanesi potrebbe non riaprire più alla fine della pandemia – circa 3700 imprese in totale. Lo scorso lunedì, inoltre, l’ISTAT aveva dichiarato che la produzione industriale del paese era crollata del 29,3% - il calo su base annua più pesante da quando l’ISTAT ha iniziato a raccogliere i propri dati, nel 1990.
Nello specifico, i settori del tessile, dell’abbigliamento, della pelletteria e della produzione di accessori hanno visto un calo della produzione del 51,2%, rendendo quello della moda il secondo settore più colpito della nazione dopo l’industria dei trasporti. Ha aggravato la situazione il fatto che Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che da sole costituiscono il 45% del PIL italiano, siano state anche le più gravemente affette dalla pandemia. Ora, stando a quanto dice il governo, quel PIL potrebbe contrarsi fra l’8% e il 10% a causa del Covid-19. Ecco come il segretario di Confcommercio ha commentato le possibili misure di ripresa:
“Occorre passare dagli annunci e le promesse ai fatti: indennizzi e contributi a fondo perduto, credito a burocrazia zero, moratoria fiscale per tutto l’anno, estensione del credito d’imposta anche ai contratti d’affitto d’azienda o di ramo d’azienda“.
Le attività coinvolte nel lockdown fra Milano e provincia sono 22.700, per lo più ristoranti ma anche negozi di abbigliamento, di arredamento e gioiellerie. Le attività più a rischio, oltre a quelle del settore food & drinks, sono legate al turismo e all’intrattenimento – un’enorme serie di alberghi, cinema e teatri, tour operator e agenzie di viaggi. Secondo Barbieri le principali problematiche sono legate al ritardo nella distribuzione di fondi e di proroghe della tassazione e nel rallentamento dei guadagni causato dalle norme di distanziamento sociale:
“Abbiamo fatto un’indagine su 2mila imprese e quasi tutte, a 3 mesi dall’inizio dell’emergenza, aspettano ancora i soldi sia sotto forma di finanziamenti bancari sia di ammortizzatori sociali. L’82 per cento vorrebbe riaprire, ma di questi il 70 per cento sa che i ricavi saranno minori dei costi. Insomma, ripartenza sì ma col freno a mano tirato.”