Perché ascoltare Armani e non Tyler, The Creator?
Il grande stilista non è stato il primo a evidenziare certi problemi, però è il primo a essere ascoltato
16 Aprile 2020
In una lettera indirizzata a WWD e molto ricondivisa sui social, Giorgio Armani ha parlato di alcune delle criticità del sistema moda, criticità presenti da anni che la pandemia Covid-19 ha messo a nudo e che, certamente, rendono necessario un ripensamento di alcuni dei principi-cardine dell’industria, riferendosi soprattutto al sistema delle fashion week, da lui considerato superfluo:
«Basta con le sfilate in tutto il mondo, fatte tramite i viaggi che inquinano. Basta con gli sprechi di denaro per gli show, sono solo pennellate di smalto apposte sopra il nulla».
Armani era stato d’altronde il primo brand a trovarsi costretto a ripensare completamente la sua sfilata alla fashion week di febbraio a causa del coronavirus, con uno show a porte chiuso trasmesso in streaming. Quello che è stato più strano però, nelle parole di Giorgio Armani, sono state le reazioni arrivate da tutti i media di settore oltre che dai social: è singolare come venga percepita come visionaria la spinta al cambiamento da parte di chi, negli anni, ha attivamente contribuito alla formazione di quel sistema.
Non c’è dubbio che le intenzioni e le conclusioni a cui Armani giunge siano corrette e positive: non è certo nuova la critica a un sistema che sembra oramai vecchio e anti-economico. Gli show della fashion week sono stati salvati dalle celebrities e da Instagram, dalle immagini degli stessi che si propagano immediatamente all’interno dell’ecosistema digitale della moda. Oggi, che la pandemia ha sottoposto l’industria a uno shock esogeno senza precedenti, costringendo tutti a ripensare per davvero il modo di fare la moda nel 2020, parlare di cambiamento è certamente più facile. Viene percepito rassicurante che sia un pilastro della storia della moda mondiale come Armani a raccontare quanto immorale e anti-economica sia diventata la moda, quando invece si sono per anni ignorati i messaggi di chi, nel frattempo, il sistema-moda lo aveva scardinato, costringendo le maison ad appiattirsi sui gusti culturali di un pubblico che mai avrebbe preso in considerazione.
Nel corso dell'evento Creative All Star Series di Converse tenutosi a Londra, durante il suo panel Tyler, The Creator aveva risposto a una domanda del pubblico circa la potenziale partecipazione di Golf a una delle Fashion Week:
«Credo davvero che il concetto sia superato, ed è per questo che ho cominciato a mostrare le collezioni in video. I brand spendono tutti quei soldi, perché credetemi quella roba costa davvero tanto, per 7 minuti di show da mostrare a gente a cui non frega un cazzo e vuole solo fare dei video per Instagram. Fai tutto questo, fai arrivare gente da ogni parte del mondo, e poi il video della sfilata dove finisce? Su Youtube! Quindi ho pensato, vado direttamente su Youtube».
Dopo un primo il primo show nel 2016 infatti, Tyler aveva abbandonato completamente l’idea di sfilare, utilizzando dei video - da lui stesso diretti - per mostrare i lookbook delle collezioni. Non c’è alcun dubbio, comunque, che il parere di Giorgio Armani in materia di fashion week sia più autorevole di quello di Tyler, The Creator, ma è altrettanto vero che il mondo della moda, degli addetti ai lavori e non, sia più ricettivo e propenso ad ascoltare i pareri di Giorgio Armani - e di tutto quello che rappresenta - rispetto a quelli i Tyler o di Kanye West, creativi la cui ascesa il precedente establishment della moda non aveva previsto, come non aveva previsto che Virgil Abloh potesse diventare il capo di una delle più antiche e prestigiose maison di moda al mondo.
Il modo in cui lo streetwear ha riformato tutti i comparti della moda - compresi gli show di Fashion Week e le attenzioni che questi generano - dovrebbe insegnare come individuare i trend e provare a modificare le cose prima che queste colpiscano in maniera violenta un'intera industria, mettendola in ginocchio. La mancata comprensione che gli agenti del cambiamento nel mondo della moda sono cambiati è uno di quegli errori sistemici europocentici e bianchi che negli anni scorsi ha portato il mondo della moda a doversi per forza di cosa adattare allo streetwear per sopravvivere, a produrre sneakers per continuare a vendere scarpe e a dare sempre più spazio ai brand come Off-White™, Heron Preston e Alyx. Nei giorni della Paris Men’s Fashion Week di gennaio, Aria Hughes segnalò in un articolo di Complex l’esistenza di un meme che recitava: "Y'all Turned Paris Fashion Week Into Agenda", con riferimento al trade show di Las Vegas e un'accezione decisamente denigratoria e classista. La fashion week parigina infatti era piena zeppa di show di brand ritenuti “streetwear” (e in buona parte derivanti dalla DONDA Academy di Kanye West) che spesso sono i più attesi e i più fotografati:
«Lo streetwear ha contribuito a cambiare il tono del settore, dato opportunità a persone che non le avrebbero ottenuti qualche anno fa, e ha dato più potere ai consumatori. E se tutto questo significa che c'è un'agenda dietro la Paris Fashion Week a me va più che bene», scrive Hughes.
Quando Tyler, The Creator sul palco dei Grammy definì razzista il termine “urban music”, venne immediatamente supportato da Virgil Abloh, che rivelò di provare la stessa sensazione di Tyler quando sentiva pronunciare la parola “streetwear”. Era a questo che Abloh si riferiva con la celebre espressione “credo che lo streetwear morirà nel 2020”: Virgil Abloh auspicava l’abbattimento di una ulteriore barriera linguistica, quella che relega lo streetwear a fenomeno unicamente urbano e quindi non degno di attenzione: «Quando pensi al termine streetwear pensi immediatamente alla strada e, quindi, agli afroamericani. Ed è certamente razzista come idea», ha detto il founder di Pyer Moss, Kerby Jean-Raymond, nel documentario di Lena Wahite, You Ain’t Got These.
Il sentimento espresso da Giorgio Armani è sicuramente condivisibile, ma la volontà dei media di credere ciecamente in quello che “Re Giorgio” promette è viziata dalla loro posizione di potere e appartenenza all'élite del fashion - un'élite bianca ed europea. L’industria della moda non ha ancora imparato a fidarsi delle opinioni e delle azioni dei brand che vengono considerati “streetwear” salvo poi rifugiarsi nelle stesse modalità operative: le collabo, ad esempio - per tenere la cresta dell’hype. Ripensare l'industria della moda è oggi una necessità, ma all’interno del ripensamento è necessario considerare l’inclusività e l’apertura di un mondo che continua ad essere poco-diverso in tutti i suoi compartimenti. Solo a quel punto riusciremo a trasformare l’industria in una «opportunità unica per risolvere ciò che è sbagliato, per riconquistare una dimensione più umana»