Il digital fashion può salvare l’industria della moda?
Virtual reality, fashion week in streaming e campagne digitali: esiste un'alternativa virtuale per la moda?
15 Aprile 2020
Durante le ultime settimane, molto si è detto e scritto sulla reazione del mondo della moda al coronavirus. Un’industria dal valore globale di 2.300 miliardi di euro, tenuta in piedi da una complessa e delicatissima concatenazioni di processi di lavorazione, distribuzione e marketing. Il punto di contatto fra quest’industria e i suoi consumatori sono ancora gli eventi offline: sfilate, presentazioni in showroom e l’esperienza del retail. Il principale appeal del Nuovo Lusso è infatti più psicologico che fisico: una moda che perde le sue sfilate e il suo demimonde fatto di eventi, boutique e settimane della moda è una moda che perde la sua mistica. In un periodo storico in cui queste esperienze-cardine non sono più attuabili, il fashion system deve trovare un modo di proporre un’alternativa. Negli ultimi mesi, questa alternativa è stata il digital fashion.
App, videogame e virtual reality
Secondo un report di Vogue Business, nell’ultimo mese c’è stato un sensibile aumento di download per tutte le app che consentono di interagire digitalmente con i vestiti. App come Forma e Drest hanno visto i propri user aumentare del 50% in un mese. Soltanto in Italia, ad esempio, durante la prima settimana di aprile, i download di Drest si sono quadruplicati rispetto al mese precedente. Nel mondo dei videogame, invece, giochi che consentono di personalizzare outfit e avatar hanno fatto notevoli balzi in avanti. I tre più importanti sono stati sicuramente Animal Crossing, League of Legends, Fortnite e The Sims – in cui si sono infiltrati numerosi item di moda digitalizzati – ma anche una piattaforma come Roblox, che ha inserito nuovi prodotti digitali Nike nel proprio database in occasione dello scorso Air Max Day.
Un brand che ha precorso di molto l’avanzata della realtà virtuale è stato Gucci, che qualche mese fa ha ristrutturato completamente la propria app, consentendo agli utenti di usare la realtà aumentata per indossare digitalmente vestiti o visualizzare oggetti di arredamento direttamente in casa propria, oltre che interagire con la community stretta intorno al brand.
Le fashion week digitali
La reazione più rapida alle nuove sfide poste dalla pandemia sono venute dalla Cina. Lo scorso 10 febbraio è giunto l’annuncio che la Shanghai Fashion Week sarebbe stata rimandata ma poco più di due settimane dopo, il 18 febbraio, è stato invece annunciato che la fashion week si sarebbe svolta digitalmente, tramite un live-stream trasmesso attraverso le app di T-Mall e Taobao. I format dei video sono stati diversi: alcuni brand hanno presentato la collezione Autunno-Inverno, altri la Primavera-Estate che era già in vendita, alcuni sono andati in live, altri hanno usato video pre-registrati, alcune presentazioni hanno avuto un vero e proprio commento audio come in una televendita e altre sono state sfilate più o meno tradizionali. Il dato fondamentale, al netto di tutte le possibili variazioni, è comunque che la fashion week si è tenuta, e un numero molto maggiore di brand (più di un centinaio) ha avuto la possibilità di presentare le proprie creazioni. Questo nuovo format ha guadagnato due milioni e mezzo di visualizzazioni e mantenuto un ottimo tasso di sales conversions. Tramite lo stessa modalità si è svolta anche la Moscow Fashion Week e, quest’estate, anche le fashion week di Londra e Helsinki saranno digitalizzate.
Dal punto di vista dell’industria e dei buyer, comunque, la digitalizzazione delle sfilate è un surrogato solo in parte sufficiente. Glitch nei video, problemi di connessione e bassa risoluzione hanno impedito di valutare correttamente alcuni dettagli dei capi, della loro qualità e dei materiali. Inoltre la decina di minuti che di solito un fashion show occupa è solo la punta dell’iceberg di una fashion week: momenti importanti come l’incontro fra i giornalisti e i creative directors per commentare più da vicino i dettagli delle creazioni o l’impossibilità della tradizionale visita allo showroom sono fattori essenziali che a Shanghai sono mancati e che in generale il pubblico non vede. La Shanghai Fashion Week nel suo formato digitale è stata considerata infatti più una presentazione per il pubblico che per gli insider dell’industria – una televendita di massa per così dire, organizzata non per buyer e giornalisti ma per i singoli privati che andranno poi a comprare il capo appena visto premendo un pulsante.
The Fabricant e i prodotti digitali
L’attuale crisi del retail e della moda tradizionale può insomma diventare un terreno fertile per la sperimentazione. In un articolo dello scorso novembre, nss magazine aveva parlato di un vestito digitale della compagnia olandese The Fabricant. Se qualche mese fa quell’azienda lavorava nella propria nicchia e accettava solo poche commissioni da selezionati clienti, oggi ha già alle spalle importanti progetti digitali. Il più recente è la collaborazione con Napapijri, per cui The Fabricant ha creato una campagna interamente digitale, senza fotografi, modelli o vestiti concreti, risparmiando sulle risorse fisiche e garantendosi uno spazio di libertà creativa assai maggiore di quello che un photoshoot potrebbe vantare. Qualcosa di simile è avvenuto con la recente campagna digitale di Selfridges creata da DIGI-GAL, mentre è stato di recente lanciato il brand Rohbau che per 40€ “veste” le foto dei propri clienti con una serie di hoodie digitali disegnate dallo studente del Central Saint Martins, Assaf Reeb.
In un momento in cui molte voci all’interno del sistema si domandano se la moda potrà tornare a essere la stessa dopo che la pandemia sarà finita e in cui gli stessi player del fashion system stanno pensando a come riconfigurare la fisionomia dell’industria, il digital fashion può proporre di sicuro alcune soluzioni alternative. Ma bisogna anche considerare che il successo e la longevità dell’industria della moda riguardano la vita quotidiana dei consumatori – consumatori che, fra spendere denaro per una hoodie digitale o per una fisica, finiranno tendenzialmente per acquistare qualcosa che possono indossare in prima persona e non fare indossare all’avatar di qualche gioco o digitalmente montare su una fotografia. Quella del lusso è forse un’industria frivola, ma in fin dei conti è anche una delle più concrete, una delle più basate su prodotti tangibili che si possono avere e indossare senza la mediazione di alcuno schermo.