Come viene raccontata la moda in televisione
Perché l'industria della moda non ha ancora trovato il suo linguaggio in TV
10 Marzo 2020
È inutile girarci intorno: la moda in televisione non funziona quasi mai. Nonostante i numerosi tentativi, sembra che sulla “fashion television” esista una maledizione. L’unico programma che resiste è Project Runway, tanto che viene da domandarsi se non sia stato proprio lui a maledire sui suoi avversari. Ma le vie della moda sono infinite e, dopo l’esplosione dei servizi di streaming, gli ultimi a scendere in campo sono i due competitor per eccellenza: Netflix e Amazon Prime Video.
Dopo il loro "auf Wiedersehen" a Project Runway, Heidi Klum e Tim Gunn (squadra che vince non si cambia) sono tornati alla conduzione di un nuovo show: Making the Cut (dal 16 luglio su Prime Video con la seconda stagione), un reality alla ricerca del nuovo it-name che sconvolgerà il mondo del fashion. Protagonisti 10 designer e imprenditori da tutto il mondo e di tutte le età, che si sfideranno sia nel taglia e cuci sia in ambito imprenditoriale, in palio la “modica” cifra di 1 milione di dollari (impensabile per la TV generalista). Al loro fianco, una squadra di giudici composta da Winnie Harlow e Jeremy Scott, affiancati da giudici special guest, tra cui Prabal Gurung e Shiona Turini. Making the Cut è forse il programma più costoso nella storia della fashion tv, ma non è l’unico che ha visto la luce negli ultimi anni: su Netflix è disponibile Next in Fashion, un (altro) reality condotto da Alexa Chung e Tan France (star di Queer Eye), definito però "un passo falso" per Netflix.
Niente di nuovo sul fronte occidentale, potrebbe suggerire qualcuno. Invece no, perché questi due format "online" hanno qualcosa che nessun altro ha mai avuto: lo zampino di un partner commerciale. Nel caso di Making the Cut, nemmeno a dirlo, è Amazon; nel caso di Next in Fashion si tratta di Net à Porter, il più grande shop online di luxury fashion. Al termine del programma, entrambi i retailer daranno al vincitore la possibilità di mettere in commercio la sua collezione esclusiva proprio sui loro shop online. È la prima volta nella storia dei fashion-reality che si vince la possibilità concreta non solo di produrre una collezione, ma di venderla direttamente al cliente - e soprattutto su due piattaforme di enorme visibilità. D'altronde, se è vero che “nella moda un giorno sei in, il giorno dopo sei out”, non è chiaro se questi format abbiano mai aiutato davvero le carriere dei concorrenti. L’unico che ricordiamo è Christian Siriano (che vinse la quarta edizione di Project Runway e oggi ne è un giudice), seguito forse da Michael Costello, che continua a vestire personaggi (un po’ trash) come Mariah Carey e Paris Hilton, Nicki Minaji e Cardi B.
La storia dei fashion-reality è abbastanza scoraggiante. Sotto l’egemonia di Project Runway (18 stagioni dal 2004, oggi condotto da Karlie Kloss) e America’s Next Top Model (chiusa nel 2018 alla sua 24esima edizione), nessun programma è riuscito a ritagliarsi il suo spazio. Anche in Italia si è visto il goffo tentativo di importare il format, con una terribile versione italiana proprio di Project Runway condotta da Eva Herzigová e la giuria di Alberta Ferretti e Tomaso Trussardi. In Italia, però, gli unici programmi di moda che hanno successo sono quelli che scommettono sulla rivoluzione del guardaroba dei suoi concorrenti sciatti: in origine fu Buccia di Banana, quindi Ma come ti vesti? e Mix&Match su Sky Uno, condotto da Lodovica Comello e dal nuovo direttore di Vanity Fair Simone Marchetti. Ai posteri qualsiasi sentenza.
In generale, sembra che la moda non abbia ancora trovato il giusto linguaggio per il piccolo schermo. La strada più battuta è stata quella del reality, declinato in sfumature sempre diverse ma mai davvero rinnovato. La vera assente ingiustificata, invece, è sempre stata la fiction: le uniche serie che negli ultimi anni hanno scelto la moda sono state Ugly Betty e Gossip Girl. L'ultimo tentativo, ahimé, è tutto italiano: Made in Italy, "la prima serie televisiva italiana che racconta la nascita della moda italiana" firmata da Mediaset e prodotta da Taodue e The Family, e disponibile su Amazon Prime Video prima del suo passaggio su Canale 5. Nemmeno il cast stellare (Margherita Buy, Marco Bocci, un in-credibile Raoul Bova nei panni di Giorgio Armani, Fiammetta Cicogna e l'esordio della protégé di Armani Greta Ferro) è riuscito a salvarne le sorti: la serie è brutta, brutta, brutta in modo assurdo e spegne ogni speranza nel futuro della moda in TV.
A onor del vero, c'è da dire una cosa: anche quando un progetto viene messo in piedi, la sua maggiore risonanza è sui social, mentre gli ascolti sono sempre molto bassi. Senza contare che i soldi in TV scarseggiano e che gli investimenti sulla moda sono sempre molto, molto costosi (si pensi a uno show del passato come Donna sotto le stelle, la cui messa in scena oggi sarebbe impensabile). La maggior parte dei programmi di moda non riesce così a piantare radici stabili e chiude dopo poche edizioni. Il che spiega anche perché personaggi come Chiara Ferragni conquistano sempre più spazio (ma quasi mai sulla generalista), o perché quando Anna Dello Russo va ospite da Daria Bignardi (L’assedio, sul NOVE) serve un filmato introduttivo che spieghi al pubblico chi sia Anna Dello Russo. La televisione, in breve, si trasforma in un mercato ancillare di cui agli appassionati di moda non importa un granché. È sempre più chiaro che il futuro della (fashion) TV stia nelle possibilità offerte dal web. La generalista, al massimo, investe per garantirsi l’esclusiva sulle repliche de Il diavolo veste Prada, che a quasi 15 anni dalla sua uscita sembra essere l’unico contenuto di moda che interessi al pubblico. Come direbbe Miranda Priestley: avanguardia pura.