Cosa dobbiamo chiedere alla Milano Fashion Week
Inizia la Settimana della moda, con l'obbiettivo di sfruttare il potenziale di Milano
27 Febbraio 2019
Si apre oggi la Settimana della Moda uomo SS20 a Milano, dopo gli show non entusiasmanti visti a New York e Londra nelle scorse settimane. In un momento in cui la città di Milano vive profondi cambiamenti e una fase di sviluppo economico esponenziale, la moda milanese sembra percorrere la direzione contraria, fossilizzata in poche certezze che sembrano non stare al passo con i tempi.
Nelle ultime stagioni è sembrato che un evento planetario come la MFW stesse sprecando il potenziale della città, proprio ora che Milano è diventata uno dei centri creativi e urbani più importante d'Europa. In un momento in cui la moda nasce più su Instagram che sulle passerelle, Milano è un terreno fertile, luogo perfetto per sperimentare, per aprirsi a nuovi progetti favorendo l'inclusività e il coinvolgimento. Tutto ciò fino ad oggi non è avvenuto, e intanto la moda italiana perde consensi e i brand – per ultimo Prada -, buyer, così come gli showroom, abbandonano l'Italia. Più che la ricerca ossessiva del trend o le forzature per stupire in quei 15 minuti di show, la Milano della moda deve porsi altri obbiettivi in questo weekend.
Dal punto di vista di Milano
Dopo Expo 2015 Milano sta vivendo un momento di splendore, contrapposto alla situazione di instabilità del Paese. La città si è avvicinata all'Europa e allontanata da Roma, invertendo il trend negativo degli anni '90 e '00, scegliendo un'identità aperta e internazionale.
I grandi brand hanno riconosciuto il fascino e il respiro creativo di Milano riportando investimenti e aperture: basti pensare ad Apple, Starbucks e la prossima di Uniqlo. Anche il Comune ha assecondato e favorito il fervore culturale promuovendo investimenti privati di interesse pubblico - come Fondazione Prada, Fondazione Feltrinelli o HangarBicocca - e riconoscendo il valore di luoghi storicamente ripudiati dalla cultura istituzionale. Milano ha anche cambiato fisicamente il suo volto, con i grandi progetti di Porta Nuova, CityLife e la riqualificazione degli scali ferroviari, avvenuta proprio grazie all’aiuto di un grande fashion brand come Moncler, durante la scorsa FW. Bike e moto sharing la riscoperta di alcuni quartieri (e gentrificazione di altri), tutti sintomi di uno stato di salute.
Il ritratto di Milano nel 2019 è quello di una città in crescita e di successo, che ha riportato la sua creatività al centro dell'Europa e del mondo. Il miglior esempio di questo successo è la Design Week, che da manifestazione per addetti ai lavori ha deciso di cambiare e coinvolgere tutta la città per 7 giorni all'anno con eventi e manifestazioni aperti al pubblico. Il successo anche nell’ultima edizione è sotto gli occhi di tutti, e nonostante sia un esempio facile da copiare, la settimana della moda ha deciso nelle ultime stagioni di mantenere i suoi codici antichi: porte chiuse a chi non è del sistema, pochi eventi collaterali e un pubblico minuscolo composto solamente da addetti ai lavori.
La moda italiana, in questo caso quella uomo, rischia di essere schiacciata ancora una volta da Pitti, un evento dal potenziale meno forte rispetto alla Fashion Week e forse colpevolmente sottovalutato, ma estremamente efficace. L’edizione conclusa ieri ha interagito con Firenze, a servizio totale dei buyer, figure chiave nel sistema moda che abbiamo disabituato a venire a Milano. Da Palazzo Pitti a Fortezza dal Basso, fino a negozi di livello mondiale come Luisaviaroma, tutti contribuiscono a cercare un equilibrio tra marketing, artisticità e turismo.
Dal punto di vista della Moda
È inutile illudersi che la moda si faccia durante le fashion week. Virgil Abloh come massima entità spirituale della moda nel 2019, ha costruito il suo successo su Instagram, puntando su un’intelligente e originale comunicazione, e non sul valore delle collezioni in sé. La settimana della moda italiana è diventata più un momento di statement, una fiera, la cui grandezza non è giustificata più nemmeno dalla qualità delle collezioni, sopraffatta dall’esigenza di velocità di distribuzione. Alla moda è rimasta solamente l’abilità dell’illusione, non abbastanza per mascherare l’inconsistenza delle proposte.
In aggiunta a ciò c'è un dato reale, gli show costano tanto e i brand hanno iniziato a chiedersi se abbia ancora senso spendere centinaia e centinaia di migliaia di euro per 15 minuti di esibizione, i quali non sono più il principale e più efficace mezzo per commercializzare le collezioni. Anche in questa edizione della MFW, il calendario ci dice che i brand preferiscono organizzare party e presentazioni, più coinvolgenti e meno dispendiosi dal punto di vista economico, rispetto ad allestire show.
La proposta migliore della passata MFW è stato il progetto presentato da Moncler, che è intervenuto fisicamente sulla città, per risanare i Magazzini Raccordati anche grazie al patrocinio del comune. Un modo perfetto di comunicare con la città mantenendo in primo piano il concetto artistico, alla base di ogni produzione e della natura stessa della moda. Le collezioni in collaborazione con Pierpaolo Piccioli, Craig Creen, Matthew William e Hiroshi Fujiwara sono stati aperti al pubblico durante l’ultima giornata di Fashion Week, un bene comune in mostra anche a un pubblico non selezionato.
Riflettendo sul ruolo della settimana della moda, un articolo pubblicato su Vox attribuiva il declino alla nascita degli influencer. Penso sia sbagliato e poco saggio non ammettere che si tratti di una normale evoluzione del modo di comunicare, al quale è affidato il compito di diffondere le immagini in anteprima. Ciò porta a interrogarsi sul concetto di esclusività e quello di svelamento, prima missione esclusiva e primaria dei magazine. Le riviste sono cambiate quando è mutato il modo di diffondere le immagini, e di conseguenza quello di acquisto, che ha spostato in secondo piano le testate editoriali, le quali non dettano più le tendenze. I magazine hanno attraversato negli ultimi due decenni diverse fasi di evoluzione. Dai blog si è passati a Facebook, che si basa sull’interattività della community, per poi passare a Instagram, per una fruizione veloce, immediata e solamente visiva, fatta di immagini che viaggiano con una rapidità che la parola scritta non può sostenere. I magazine hanno perso potere, ora nelle mani di micro influencer. In un discorso sia di informazione che di influenza, ha ora più peso un post di Diet Prada oppure uno scatto di Kendall Jenner, rispetto a un editoriale di Vogue. La moda è ancora un sogno, che però non può più essere venduto utilizzando degli stessi mezzi di comunicazione, ma dovrebbe adottare un registro nuovo e rivolgersi a nuovi interlocutori. Sogno e attesa, concetti che appartengono al DNA della moda e che fino a qualche anno fa riuscivano ancora a giustificare la qualità della mano d’opera.
Milano ha dalla sua il momento storico e l’attenzione dei big brand, può innalzare il livello della moda italiana, che forse sta presuntuosamente pensando di essere in salute. Milano dovrebbe raccogliere l’esempio di Londra, più informale e creativa nelle proposte, aperta agli stimoli e alla contaminazione, questo ci aspettiamo dalle passerelle della SS20 e da tutto il movimento della moda in senso ampio. Milano deve liberarsi dalle costrizioni e staccarsi dalla rigida etichetta di corte. La moda italiana crede di bastare a sé stessa, ma il narcisismo e la presunzione sono solamente patologie.