Our Trend Your Wardrobe: il contadino che sognava di chiamarsi Kurt
13 Novembre 2010
Alle volte un trend può essere utilizzato come una chiara volontà di manifestare dissenso. Capita spesso di saturare la pazienza delle persone con poco, con un atteggiamento persistente anche inconscio, con la mancanza di rispetto gratuita e con l’ignoranza. Tutto questo può accadere anche nella moda, quando il vestire diventa una violenza per gli occhi di chi sa di cosa si sta parlando e a cosa, inconsapevolmente, ahimè, ci si riferisce. In questi ultimi anni l’arte del vestire si è dimostrata stanca e affannata nel proporre delle vere novità. Il più delle volte si è ricorso a ripescaggi di anni passati, come vuole l’indole del costume dei cicli e ricicli, e alle usurpazioni di capisaldi trasformati in ennesimi best seller che da classici sono divenuti ossessioni e violenze all’istituzione di un capo.
Gli esempi potrebbero essere molteplici, data la pigrizia dei più a seguire la propria indole ed il proprio stile, ma c’è da dire che un filone in particolare è stato del tutto denaturalizzato e portato allo sbaraglio dalla massa: il grunge. La storia della moda insegna che tale movimento del mondo della musica a cavallo tra gli anni 80 e 90, era incentrato nel dimostrare disdegno e ribellione nei confronti dell’establishment per situazioni di disagio della società. Anche l’aspetto di tali band, quali i Nirvana, Alice in Chains, Mother love bone, Pearl Jam, Soundgarden e molti altri ha un chiaro significato, come vuole il termine Grunge stesso, che sta per sporco, sciatto. Queste icone della musica erano chiaramente riconoscibili per i loro capelli lunghi e barbe incolte, jeans stracciati, maglie consumate, maglioni pesanti ed informi, converse e poi loro: le camicie, che sono divenute una sorta marchio di fabbrica. Da un lato il flanellone a quadri, tipico dei taglialegna delle zone attorno a Seattle, i così detti Lumberjack; dall’altro le camice jeans, dal taglio over e spesso consumate e sgualcite.
Ora, basta uscire una sera e guardarsi attorno per capire l’abuso degli ultimi due capi citati. Partendo dal presupposto che Kurt Cobain, colleghi e seguaci, indossavano i suddetti abiti per disinteresse e distacco dal glam degli anni 80 e dai vistosismi dei 90, è subito chiaro il non sense dell’utilizzo del quadro e del jeans nelle camice, abbinati a skinny jeans o chinos perfetti, per lo più risvoltati a mostrare il calzino che con cura si accompagna alla mise, completata alle volte perfino da un blazer, capelli leccati o arricciati ad hoc in ciuffi degni del miglior tirabacio ed ovviamente rasati ai lati, tanto per non cadere nell’errore della diversità. Tutto questo genera un mix esplosivo, perché pericoloso sia chiaro, tra il country, l’indie ed il Grunge, generalmente costruito su capi vistosamente cheap ed assemblati insieme come dettano le istituzioni della bassa creatività che punta alla vendita a ripetizione della moda al macello.
La libertà di espressione è alla base di ogni società, e diviene fondamentale anche per chi si nutre di moda con gli occhi. Lo stesso Grunge non è mai stato riconducibile ad uno stile univoco, perché contaminato da mille influenze e da altrettante personalità che differivano da gruppo a gruppo.
I fake ed i copia incolla sono come dei nei sulla pelle bianchissima, subito evidenti ed alle volte così scuri, da dover essere eliminati per salvaguardare salute e bellezza.
A questo punto a voi la scelta: divenire dei fanatici del Grunge autentico o darvi alla semina, ma con le vere camice di flanella, come quelle di Pendleton, per citare un esempio, per il bene della moda e l’amore per l’arte del vestirsi.