![Mara Russo Università Iuav di Venezia](https://data2.nssmag.com/images/galleries/24129/thumbs/Mara-Russo-foto-nss-magazine.jpg)
![Mara Russo Università Iuav di Venezia](https://data2.nssmag.com/images/galleries/24129/thumbs/Mara-Russo-foto-nss-magazine.jpg)
Mara Russo
Università Iuav di Venezia
Share
Design della Moda e Arti Multimediali, III anno
21 anni
Catania
Le scuole sono state fra le prime strutture ad adeguarsi alle nuove misure di emergenza. Il tuo Istituto in che modo si è comportato? Quali sono secondo te i pro e i contro delle lezioni da casa?
Nonostante l’ottimo lavoro svolto dalla mia università nel tentare di adeguarsi a questa situazione, continuo a sostenere che i contro dell’università telematica siano maggiori rispetto ai pro. Ammetto che è stato piacevole svegliarsi alle 8.50 di mattina e accedere alla lezione alle 9.00, in pigiama e senza correre il rischio di perdere l’autobus, ma il contatto umano, l’esperienza visiva, tattile, soprattutto in campo laboratoriale, non possono essere sostituiti da una revisione virtuale. Essere al terzo anno da questo punto di vista aiuta, poiché si è già in possesso di un proprio linguaggio e di una propria estetica che agevola la comunicazione efficace tra studente e insegnante. Se dovessi trovare un pro, direi che sta proprio in questo: i nostri laboratori sono sempre molto brevi, ma intensi; nella prima fase del progetto tendiamo quindi a comunicare le nostre intenzioni in modo discorsivo, con in mano alcuni elaborati iniziali che difficilmente sono auto-esplicativi. Lavorare a distanza ci ha costretto a puntare tutto sulla grafica e sulla capacità che hanno le immagini di parlare da sé, senza dare troppe spiegazioni. È diventato fondamentale il concetto, un po' meno la forma.
Le industrie del fashion e del design sono state fra le più colpite dalle conseguenze dell’isolamento. In qualità di consumatore ma anche in qualità di futuro addetto ai lavori, secondo te quali saranno le conseguenze peggiori di questa crisi?
Credo che questa situazione abbia portato alla luce molti problemi preesistenti in tutti i campi economici, moda compresa. La morte della fast fashion era già nell’aria, adesso è una necessità. A prescindere dal virus, e dal conseguente blocco del sistema, non credo che in futuro la necessità degli acquirenti sarà quella di rinnovare il proprio armadio ogni mese, piuttosto quella di ampliarlo. Le immagini stanno via via acquistando un valore maggiore per la costruzione della nostra identità. Ciò che si chiede ad un brand è di seguire una linea concettuale ben precisa, comunicabile, di porsi a rappresentanza di un concetto che l’acquirente possa far proprio indossandolo. L’accessorio come elemento iconografico permanente e non passeggero, non è frutto di un continuo rinnovamento della collezione messa in commercio, ma di un’accurata ricerca il cui valore permane nel tempo. L’immagine che diamo di noi stessi deve essere immediatamente riconoscibile, non perdersi tra le altre. Aldilà delle scelte etiche, che probabilmente a pochi importano, credo sia una direzione che intraprenderemo tutti a prescindere.
Il tuo lavoro si nutre di creatività. In questa quarantena, qual è la soluzione per continuare a essere creativi? Quali sono i tuoi spunti?
Una parte di me è sempre stata un po' fatalista. Ho passato due anni della mia vita a fare ricerca sulla Sicilia da Venezia, e proprio durante l’ultimo semestre del mio percorso, mi ritrovo fisicamente bloccata nel mio terreno di ricerca. Ho cercato di sfruttare al massimo le possibilità che Catania in questo periodo mi ha offerto. Ho utilizzato materiali di seconda mano appartenenti a mia nonna ritrovati nei vecchi scatoloni, sfruttato al massimo i contatti con altre realtà artistiche del luogo, e chiesto ai miei amici di regalarmi vecchie tute dismesse: tutto materiale che se fossi stata a Venezia difficilmente avrei potuto procurarmi rapidamente. Credo che la soluzione ad ogni problema sia lo spirito di adattamento in chiave attiva, mai passiva. Soffermarsi su ciò che si ha a disposizione, non su ciò che manca. Ho vissuto questa quarantena come se avessi preso parte a una residenza artistica, e sono convinta che il mio lavoro ne abbia solo beneficiato.