Il product design nell’era digitale secondo Nagami
Come lo studio spagnolo vuole rivoluzionare l’intera industria
17 Gennaio 2022
Mai come negli ultimi anni il mondo del design è diventato il protagonista della scena culturale. La crescente importanza attribuita all’estetica, la nuova platea offerta ai designer dai social media e lo stesso crescente interesse del pubblico nei confronti della disciplina, hanno ridefinito un ambito che, fino a vent’anni fa, rimaneva prevalentemente di nicchia. È naturale dunque che con questo progressivo aprirsi del dialogo con mondi più ampi lo stesso design si sia trovato all’incrocio di nuovi e diversi ambiti – il digitale in primis. Ed è proprio alla confluenza di tecnologia 3D, robotica e computational art che si situa Nagami, studio spagnolo fondato da Manuel e Miki Jiménez García insieme a Ignacio Viguera Ochoa. L’originalità radicale nel metodo produttivo di Nigami sta proprio nel suo uso del 3D printing per la produzione di prodotti di piccola e grande scala, dalle face masks fino alle sedute e alle installazioni esposte al Centre Pompidou di Parigi, che possono non solo essere personalizzate a piacimento, ma che grazie alle molte attività collaborative avviate dai founder sono anche divenute un tramite creativo che ha portato il linguaggio singolare dello studio a dialogare con alcune delle voci più importanti del design, dell’arte e dell’architettura contemporanei come ad esempio Zaha Hadid Architects, Ross Lovegrove, Daniel Widrig e Davide Quayola.
Nel 2022 la multidisciplinarietà è d’obbligo, e l’intuizione alla base del lavoro dello studio Nagami è stata quella di creare, concettualmente parlando, un tool versatile che potesse applicare il medesimo linguaggio estetico non solo a campi diversi, che spaziano dalle arti decorative al design d’interni, all’arte contemporanea fino a prodotti utilitari come le mascherine facciali, ma anche a creativi diversi avendo come elemento unificante metodi produttivi e codici visuali ibridi. Quando si parla di multidisciplinarietà non si intende soltanto la capacità di dedicarsi a progetti anche molto diversi tra loro, ma anche una ownership creativa che va dal concept alla base dei singoli design fino allo sviluppo dei software e alla produzione. Una sorta di versione moderna e futuristica di quelle botteghe rinascimentali dove lo stesso artista progettava un palazzo, dalle bozze iniziali della facciata fino alla scelta dei singoli blocchi di marmo e alla scultura di tutti i diversi elementi che ne componevano l’assetto finale.
Questa libertà di spaziare attraverso linguaggi diversi risiede nei metodi stessi di Nagami. Come ha spiegato il co-founder Manuel Jìmenez Garcia in un’intervista del 2018: «Le tecnologie di produzione additiva consentono libertà formali che sarebbero irraggiungibili con altri metodi. Il tipo di geometria che il nostro marchio promuove avrebbe poca vitalità se utilizzassimo tecnologie più tradizionali, come l'iniezione o il soffiaggio, o anche altre tecnologie a controllo numerico». E se gran parte del design del prodotto tradizionale può essere descritto come la maniera pratica di aggirare limitazioni produttive, si può vedere come Nagami abbia cambiato il paradigma, adattando la tecnologia produttiva in base alle singolari esigenze di ciascun prodotto – con in più il vantaggio di evitare gli sprechi di materiali in quanto con il 3D printing viene prodotto soltanto il materiale necessario alla creazione del singolo prodotto. Pur essendo progettualmente complicatissimo, infatti, il design della VoxelChair v1.0, che è ora parte della collezione permamente del Centre Pompidou, è stato eseguito senza sbavature o errori di calcolo ma soprattutto senza produrre scarti.
La sostenibilità è uno dei principali fattori del lavoro dello studio: il suo metodo di estrusione, perfezionato dai founder stessi, comprime la supply chain, taglia gli investimenti di capitale iniziale sulla produzione di stampi e macchinari specifici o di catene di montaggio, passando dalla progettazione digitale alla creazione del prototipo nel giro di poche ore, e sveltendo anche tutte le fasi di testing. La production chain così ristretta, e che spesso si volge interamente nel medesimo spazio di lavoro, taglia di molto le emissioni oltre che sia in fase di produzione che in fase di shipping. Un tipo di nuova metodologia del lavoro che sta già rivoluzionando l’industria del product design e che ne diventerà presto il futuro – futuro che Nagami ha già precorso di anni.