10 tavoli che hanno fatto la storia del design italiano
Per favore, usate un sottobicchiere
18 Aprile 2023
Il tavolo è un oggetto che ha accompagnato la civiltà umana fin dai suoi inizi. Non a caso si tratta di uno dei pochi mobili che ancora in epoca contemporanea conserva tutti i suoi profondi significati sociali: la tavola è il centro della convivialità, dove si ci riunisce, si mangia insieme e si lavora – ed è per questo che la sua importanza culturale, oltre che le sue dimensioni, lo rendono una delle parti centrali della casa. Nel mondo del design italiano i tipi di tavoli sono molti, ci sono quelli classici che di solito sono anche quelli più di concetto, come la serie “Quaderna” di Superstudio o il modello TL22 di Franco Albini e Franca Helg; altri come Gio Ponti hanno creato tavoli da caffè che, in virtù della loro funzione decorativa e di dettaglio si prestano a sperimentazioni strutturali; poi esiste un’intera categoria intermedia in cui l’idea di tavolo è stata astratta e rielaborata liberamente, come nei casi del “Demetrio” di Magistretti o nel “Massolo” firmato da Gilardi per Gufram.
Quello dei tavoli di design è un mondo complesso, ricco e, specialmente nel caso dell’Italia, densamente popolato. Per questo nss magazine ha stilato una lista dei 10 tavoli che hanno fatto la storia del design italiano.
1. Gio Ponti – Tavolino D.552.2 (c. 1950)
Il progetto originale di questo tavolo venne realizzato all’inizio degli anni ’50 da Gio Ponti per Singer & Sons, un produttore di mobili newyorchese. Nella linea che il designer italiano progettò per l’azienda c’erano vari tavoli di diverse grandezze – ma fu questo, poi riedito da Molteni con il nome di D.552.2 che rimane a oggi il più memorabile. La sua costruzione tripartita, basata su una geometria essenziale, e il suo piano di cristallo dagli angoli smussati lo rendono un piccolo capolavoro di eleganza e misura che invece crea un contrasto con gli angoli acuti della base.
2. Franco Albini & Franca Helg – Tavolo TL22 (1958)
Albini definì una volta la tradizione come «l’argine alle licenze fantasiose, alla provvisorietà della moda» e non a caso è considerato un maestro del razionalismo – quello stile, cioè, per cui forma e funzione dovevano aderire in maniera perfetta. Il tavolo TL22, realizzato per Poggi durante il lunghissimo sodalizio con la grande Franca Helg, rappresenta esattamente questo stile: non è rigidamente rettangolare, non è nemmeno ellittico, ma possiede una curvatura insieme elegante e severa. Le gambe del tavolo, invece, riflettono la concezione architettonica, pratica e scevra di orpelli che caratterizza l’intera opera di Albini e specialmente i suoi lavori con Helg.
3. Vico Magistretti – Tavolo “Demetrio” (1964)
Il “Demetrio” è forse una delle creazioni più espressive della filosofia del design di Magistretti, il quale guardava «gli oggetti di tutti i giorni con occhio curioso» ed era capace di rivoluzionarne l’aspetto con tocchi così sottili, così semplici da fare sembrare quasi invisibile il processo creativo stesso. Il tavolo “Demetrio” nacque proprio dall’osservazione di un contenitore di plastico utilizzato per lavare le fotografie, i cui lati vennero tagliati e il cui fondo divenne il piano. Il tavolo, che era sovrapponibile, aveva anche il vantaggio aggiuntivo di poter essere prodotto tramite un singolo stampo, segnando di fatto un momento di svolta tra il “vecchio” design e quello moderno.
4. Joe Colombo – Tavolo “Poker” (1968)
Non è ancora chiaro se l’aggettivo “edonista” potrebbe essere applicato a un tavolo, ma nel caso in cui lo fosse dovrebbe essere applicato al tavolo da poker che Joe Colombo firmò alla fine degli anni ’60. Portando insieme il suo amore per la tecnologia futurista, il suo intuito per la soluzione pratica ma anche l’attitudine vagamente sensuale che distingue molti dei suoi design, questo tavolo da gioco possiede due piani, uno verde per giocare e uno inferiore da usare come superficie d’appoggio. Quattro piani rotanti nascosti fra le due superfici e facilmente estraibili, danno spazio per posaceneri e punti di appoggio per i bicchieri. I piedi tubolari in acciaio, infine, accentuano l’impressione di morbida rotondità e nascondono anche piedini regolabili.
5. Superstudio - Tavolo “Quaderna” (1970)
Il Superstudio di Firenze disegnò questo tavolo per Zanotta all’inizio degli anni ’70. Erano gli anni del design radicale, in cui la progettazione degli arredi aveva rotto la barriera della tradizione e ed era entrata in un reame più onirico e giocoso. Erano anche gli anni in cui si stava rigettando il funzionalismo che ancora vigeva negli ambienti accademici e si rifletteva su come unire ai nuovi principi di design l’idea di modularità e riproducibilità. Proprio l’anno prima, il Superstudio stava lavorando agli Istogrammi, oggetti costruiti sulla base di un reticolo ortogonale che potevano variare in scala dalla suppellettile all’edificio – e da lì nacque l’idea di Quaderna: una serie di mobili dalle geometrie essenziali, decorati da una quadrettatura all-over che poteva unire sotto lo stesso principio tavoli, sedute, armadi e persino prodotti tessili.
6. Enzo Mari – Tavolo “Frate” (1973)
Il nome di questo tavolo richiama due ambiti diversi: il primo è quello dei frati, con la sua monastica e quasi francescana semplicità; il secondo è l’ambito della fratellanza, in cui si recupera lo scopo sociale del tavolo. Mari era un designer attento all’essenzialità, che odiava i fronzoli superflui ma teneva sempre in considerazione l’eleganza e la classicità delle sue creazioni. Il tavolo divenne in seguito il progenitore di un’intera famiglia di altri mobili più piccoli chiamati di volta in volta “Fratellino” o “Cugino” quasi a dimostrare una parentela fra i vari progetti uniti dal medesimo concept, l’unione di tre elementi semplici come il vetro, il legno e l’acciaio, ciascuno dei quali ridotto all’essenziale e ricombinato per creare oggetti che fossero funzionali ma anche visivamente leggeri, armoniosi ed equilibrati.
7. Piero Gilardi – Tavolino “Massolo” (1974)
Sempre degli anni ’70 è il tavolino “Massolo” una delle massime espressioni di quello humor che distingue Gufram, brand per il quale Gilardi lo disegnò e che lo produce ancora. Molto in breve, “Massolo” è l’imitazione di un blocco di porfido rosso che però è fatta di leggerissimo poliuretano. Il mobile è in realtà un oggetto versatile perché oltre a essere un tavolino è anche una panca, una decorazione o, per usare le parole di Gilardi stesso, è un’esperienza.
8. Gae Aulenti – Tavolo con Ruote (1980)
Aulenti lavorò a questo tavolo nello stesso anno in cui lavorava ad alcuni progetti del Centre Pompidou, a Parigi. Proprio il celebre museo progettato da Richard Rogers e Renzo Piano rientrava nel movimento High-Tech, quel trend di design che enfatizzava l’estetica dell’hardware industriale – che per questo tavolo si tradusse in una fusione quasi brutale di un piano di vetro a quattro ruote sovradimensionate, adatte forse a un macchinario pesante. L’effetto finale è paradossale e suggestivo insieme, una strana armonia fra la delicatezza del vetro e la pesantezza degli pneumatici.
9. Vittorio Livi – Tavolo “Ragno” (1983)
Un monolite di vetro curvato, il primo nel suo genere, plasmato dai vetrai a partire da una massa incandescente che si trasforma in un mobile che trascende l’idea stessa di tavolo. Il vetro curvato reso celebre da Livi e dallo studio da lui fondato FIAM, ottenne in seguito altre iconiche variazioni (come la poltrona Ghost di Cini Boeri) ma fu questo tavolo il progenitore di tutto.
10. Alessandro Mendini – Tavolo “Macaone” (1985)
Questo tavolo disegnato da Mendini per Zanotta fa parte della collezione Zabro, nata come celebrazione dell’artigianato artistico italiano e per questo, a differenza degli altri tavoli di questa lista, non sono la tecnologia o l’innovazione i tratti esplorati con questo progetto ma la connessione fra arte e design. L’omaggio al classico artigianato si traduce qui sul piano formale, mentre i materiali sono quelli del design moderno anni ’80 come pannelli di fibra, poliuretano, acciaio e alluminio. L’elemento artistico è invece comunicato attraverso il color blocking che trasforma la struttura vagamente tradizionalista del tavolo in un pezzo quasi da galleria.